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Alessandro Renica: “Cavani-Hamsik, conto su di loro”

L'ex difensore azzurro: "Sono stato la bestia nera della Juventus"

Difensore. Libero, come si chiamava allora. E che libero, Alessandro Renica con quel sinistro di velluto. Ovvio, giocando là dietro di gol non ne faceva tanti, però quando vedeva bianconero, quando l’avversario era la Juve, beh, allora, che si trattasse di coppa o campionato lui si trasformava. E, infatti, in quegli anni d’oro della storia azzurra ne ha fatti di importanti. E decisivi.

Ricorda quanti sono?
«Tre. Ogni anno ne facevo uno. Nell’87, l’anno dello scudetto, feci gol su punizione. O quasi. Maradona toccò appena e feci passare il pallone tra le gambe di Tacconi. Vincemmo per due a uno. L’anno dopo segnai il gol del 5-3 a Torino. Lo feci su rigore. Maradona era uscito poco prima e toccò a me tirarlo. Quel gol tolse alla Juve ogni speranza di rimonta».

E poi, 1989, quarti di finale di quella coppa Uefa che poi il Napoli avrebbe pure vinto.
«Sì. Che emozione. Ultimo secondo dei supplementari: cross basso da destra di Carnevale e gol che fece impazzire di gioia non solo noi, ma tutta la città».

Insomma, in quegli anni, Renica bestia nera della Juve, si può dire?
«Direi: Napoli bestia nera della Juve. Contro di noi, infatti, le prendeva sempre. E sa perché era fantastico? Perché per i napoletani le partite con la Juve sono state sempre assai particolari: attese, sentite. Una rivalità praticamente viscerale». 

Già. E il tempo non ha cambiato nulla. La voglia di battere la Juve è sempre quella, è sempre uguale.
«Lo so. L’attesa di oggi è uguale a quella dei miei tempi. E oggi come allora il Napoli sa farsi rispettare».

Vuol dire che sabato a Torino potrebbe pure?
«Juve e Napoli sono due gran belle squadre. Mi aspetto una partita vera, combattuta, nella quale, al di là delle qualità tecniche dei singoli, conterà molto la condizione atletica».

Già. E pensando a Cavani, al match in altura con la sua Nazionale e al successivo, estenuante viaggio di ritorno, è proprio questo che preoccupa Mazzarri.
«Ed ha ragione, Mazzarri. Questo per il Napoli potrebbe essere un problema. Guai se al Napoli venissero meno quelle ripartenze che hanno proprio in Cavani il protagonista. Che giocatore, Cavani: non ho mai visto un attaccante volare per settanta-ottanta metri e poi avere la lucidità e la forza di piazzare il tiro. In Europa non ce n’è un altro come lui».

Quindi, Cavani l’uomo che può decidere la gara?
«Cavani è Cavani, ma per me il cuore della squadra è un altro. E’ Hamsik. Il gioco, l’organizzazione ruota intorno a lui. Mi auguro che quest’anno dimostri d’avere anche quella continuità che gli è mancata nelle stagioni scorse».

 

E della Juve, invece, il Napoli cosa può temere?
«La determinazione. La compattezza. Anche la convinzione d’essere più forte. Convinzione che le viene dall’aver vinto lo scudetto. La Juve gioca bene e gioca a ritmi alti. Insomma, è una grande squadra».

Per lo scudetto pure lei pensa che sia corsa a due?
«E’ presto per dirlo, ma ci sono tutte le premesse perché sia così. Anche se, nonostante l’avvio incerto, un ritorno dell’Inter ce lo vedo».

Il Napoli di Mazzarri e quello di Bianchi. A parte i lanci di Renica ieri e di Cannavaro oggi, ci vede delle analogie?
«No. Tatticamente è improponibile ogni paragone. Quello era un altro calcio. Eccellente pure quello, ma diverso. Allora contava molto anche l’individualità. Non dimentichiamo che in quelle partite in campo c’erano da una parte un certo Maradona e dall’altro un certo Platini. Ovvero il più grande giocatore d’ogni tempo e un altro che pure non era niente male. Oggi, invece, gli schemi sono assai più rigidi. Oggi, forse, si vede e conta di più la mano dell’allenatore».

Ecco. Mazzarri. E’ l’allenatore giusto per l’assalto allo scudetto?
«Credo di sì. Sono già un paio d’anni che il Napoli è pronto per il tricolore. E Mazzarri mi piace veramente molto. Apprezzo il suo lavoro e non mi meraviglio che sia arrivato così in alto. Lui ha fatto la gavetta. Lui tutto ciò che ha ottenuto se l’è sudato e meritato. Ma io l’avevo intuito già trent’anni fa che aveva qualcosa di particolare che gli avrebbe fatto fare strada».

Trent’anni fa? Racconti, per favore.
«Siamo stati compagni di squadra nell’Under 21. In verità io c’ero stabilmente in Nazionale, lui, invece, ci venne poche volte. Una di quelle volte in ritiro dividemmo anche la stanza. Era simpatico, ma soprattutto, sentendolo parlare, nonostante avesse solo vent’anni o poco più, mostrava già carattere. Direi carisma addirittura».

Già. Ma, caro signor Renica, sabato come finirà?
«E chi può dirlo, questo. Partita aperta. Risultato incerto. Però il Napoli ricordi che ha una tradizione: quella d’essere stato la bestia nera della Juve». 

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

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