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Alessandro Del Piero: “Juve grande perchè sa soffrire. Napoli, un progetto da leader”

Venti punti di distacco tra Juve e Napoli, ma questa resta la partitissima anche per Alessandro Del Piero, bianconero nell’anima, il Capitano che chiuse con il calcio italiano il 20 maggio 2012, finale di Coppa Italia vinta a Roma dagli azzurri. Volato a Sydney, vedrà la sfida di Fuorigrotta lunedì mattina, per i giochi del fuso orario. Ricordi ed emozioni, intanto, affiorano in questa intervista al Mattino.

Quali sono gli attimi più belli delle partite contro il Napoli?
«Il San Paolo è uno stadio speciale per me. È un destino, forse, per chi porta il numero 10. Ho tanti ricordi bellissimi, compresa l’ultima amara sfida con il Napoli. Amara per la sconfitta nella finale di Coppa Italia, ma non per il significato di quella partita, l’ultima con la maglia della Juventus, con gli applausi preziosi da parte del pubblico napoletano. Se, però, devo citare un episodio specifico, dico il gol su punizione nella sfida giocata nel 2006 in serie B. Devo dire che da allora Juventus e Napoli ne hanno fatta di stada».
Le sarebbe piaciuto giocare contro Maradona?
«Ma io con Maradona ci ho giocato! Nel salotto di casa mia, quando sognavo di diventare un calciatore. Basta dire questo per spiegare cosa penso di Diego. Di un altro pianeta».
Insigne si ispira a lei: quali consigli può dargli?
«Lo seguo e mi piace. Sono sicuro che abbia il talento per arrivare lontano. Non mi piace dare consigli, perché lui sa quel che deve fare, in primo luogo non smettere mai di coltivarlo e di allenarlo, quel talento. Mi hanno fatto molto piacere le sue parole su di me, soprattutto perché so che sono sincere. Sapere di essere un punto di riferimento per un giovane calciatore è certamente motivo di soddisfazione per me. Gli auguro davvero il meglio. E poi, per un napoletano, vestire quella maglia da protagonista deve essere davvero speciale».
La Juve si avvia verso il terzo scudetto consecutivo: quali sono i punti di forza?
«La Juve è dentro la sua storia, che è fatta di vittorie e di mentalità vincente: questa è la sua forza. È una squadra che vince perché ha imparato a soffrire, quando non vinceva. Ammiro molto i miei compagni, stanno facendo qualcosa di straordinario».
A rivedere la Juve nuovamente con il tricolore cosa prova ricordando l’anno vissuto in serie B?
«Penso che essere rimasto, prima ancora di sapere dove avremmo giocato e con quanti punti di penalità, sia stata la migliore scelta della mia carriera. Ho vissuto una stagione straordinaria, che ha dato il senso a tutto quello che è venuto dopo, compresa l’ultima coppa alzata nel giorno della mia ultima partita allo Juventus Stadium».
Ritiene che il calcio italiano sia indietro sul piano internazionale e come si può ovviare?
«I risultati lo dimostrano. Ma in Europa le cose cambiano in fretta. Di certo abbiamo un deficit di intensità rispetto alle grandi che in questo momento primeggiano, e direi anche di mentalità. I risultati dei club di oggi sono frutto degli investimenti di ieri, sia dal punto di vista economico, ma anche – elemento da non sottovalutare – dal punto di vista della formazione dei giovani e di tutto ciò che ruota intorno alla società: organizzazione, marketing, stadio di proprietà. Così, fuori dal campo, si creano risorse per ottenere i risultati in campo».
Ha seguito il lavoro di Benitez in questi mesi? Ritiene che la sua presenza sia utile al calcio italiano, visto che Rafa è sempre alla ricerca del gioco?
«I risultati ottenuti in carriera dimostrano il suo valore. A proposito di mentalità, in Europa Benitez è uno che può insegnare: quello che è accaduto al Napoli nel girone di Champions è qualcosa di incredibile, uscire con 12 punti è una beffa».
Cosa pensa del lavoro che De Laurentiis sta portando avanti a Napoli da dieci anni? La squadra può essere in grado di sfidare nei prossimi anni la Juve per lo scudetto e intanto vincere quest’anno la Coppa Italia?
«Penso di sì. È un grande lavoro di programmazione, dalla serie C De Laurentiis ha portato la squadra ad essere stabilmente tra le protagoniste in Europa. C’è bisogno di tempo per costruire una grande squadra e credo che la strada intrapresa dal Napoli sia quella giusta, anche nell’ottica di coniugare i risultati con il bilancio: il calcio di oggi, in Italia e non solo, non può prescindere da questo aspetto».
Nel Napoli giocano una media di 10 stranieri a gara: che ne pensa uno dei grandi del calcio italiano?
«In generale, io credo che debbano giocare i più bravi. Certo, arrivare dal vivaio, o fare un lungo percorso in una squadra, è in assoluto un valore in più perché il senso di appartenenza non si compra tanto facilmente».
Quali azzurri l’hanno colpita?
«Credo che la stagione di Higuain confermi la sua grandezza. Anche perché doveva raccogliere l’eredità di Cavani, non era un’impresa semplice».
Lei ha fatto il servizio militare a Napoli e ha avuto come compagni Ferrara e Cannavaro: come se la cava con il dialetto napoletano?
«Diciamo che me la sono cavata meglio a imparare l’inglese piuttosto che il napoletano… Credo di non avere dato molte soddisfazioni in quel senso. Il ricordo di Napoli è splendido e l’affetto che spesso mi hanno dimostrato i napoletani è un orgoglio per me».
Come vede il prossimo Mondiale?
«Un torneo stupendo, il meglio che il calcio di oggi possa offrire, in un teatro fantastico, ovvero il Paese dove si respira la passione per il calcio. A parte il Brasile, non credo ci sia una vera favorita. Come nel 2006…».
Qual è il futuro di Del Piero? Possibile immaginare un suo ritorno in Italia come allenatore o dirigente?
«Al momento il mio futuro è il Sydney e centrare i playoff con la mia squadra. A fine stagione deciderò cosa fare: ho il privilegio di potermi prendere il tempo necessario per fare la scelta giusta».
In cosa vorrebbe vedere migliorato il nostro calcio?
«Vorrei che nessuno potesse provare il sentimento della paura in uno stadio. Vorrei vedere tutti i bambini che vedo sulle tribune qui in Australia e, in generale, un po’ più di amore da parte di tutti per il nostro gioco».

fonte: il mattino

 

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