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Addio Jeppson, asso del Napoli

Per i tifosi azzurri era soprannominato "O' banc 'e Napule"

Senza volerlo era diventato un fenomeno di propaganda elettorale. Centocinque milioni, tanto era costato Hans Jeppson ad Achille Lauro, per prelevarlo dall’Atalanta e portarlo a Napoli: 75 milioni alla società e 30, in valuta estera e depositati in Svizzera sul conto del calciatore. Un acquisto boom. Mai era stata pagata una cifra simile. E per farlo rendere al meglio vennero acquistate due ali coi fiocchi: Bruno Pesaola e Giancarlo Vitali. Da lì a poco, il Comandante, giù presidente onorario di un club in liquidazione, raggiunse il suo scopo: venne eletto sindaco della città. Ma Jeppson non ha mai dato peso a quell’etichetta di «mister centocinque milioni». Piuttosto gli divertiva l’altro soprannome, «’O banco ’e Napule». Ed ogni volta che veniva atterrato, i tifosi allo stadio Collana al Vomero si disperavano: “Maronna, è caruto ‘o banco ‘e Napule”. «Ma noi ci rialzavamo subito per non dare la soddisfazione agli avversari di averci fatto del male», raccontò lo svedese cinque anni fa in occasione di una visita a Fuorigrotta per il ritorno in A del Napoli di De Laurentiis. «Nel calcio, il ritmo è sostanziale. E determinanti sono i fondamentali, come il movimento senza palla, correre con intelligenza, effettuare una triangolazione oppure un lancio», spiegò in sala stampa ai giornalisti più giovani. 

INNANOMATO DEL NAPOLI E DI NAPOLI – Ma Jeppson viene ricordato dai tifosi attempati come il centravanti svedese innamorato del Napoli e di Napoli al punto da trovare la compagna della sua vita Emma Di Martino e da entrare nella storia del club con 112 presenze e 52 gol tra cui una quaterna alla sua ex squadra (Napoli-Atalanta del 27 settembre 1953 terminata 6 a 3), otto doppiette e un Napoli-Juve dello stesso campionato in cui i bianconeri, in vantaggio di due reti, vennero raggiunti da Pesaola e Jeppson e poi piegati al novantesimo dal gol di Amadei. «Se ne va un pezzo della mia vita calcistica» ha confidato Bruno Pesaola nel commentare la scomparsa del gigante biondo dai modi gentili al quale forniva assist a ripetizione e battute a volontà. Jeppson era un atleta più che un attaccante dal grande fiuto del gol. A tennis sfidava avversari di prima categoria, tanto era bravo. E spesso faceva arrabbiare l’allenatore Monzeglio per questa sua passione, sospettando che il tennis era solo l’occasione per abbordare giovani fanciulle. Amava anche la vela, da timoniere. E nel salto in alto era arrivato a superare l’asticella a un metro ed 83 centimetri. Per quello svettava su tutti anche nel gioco aereo, spedendo in rete i cross del Petisso Jeppson era nato il 10 maggio 1925 e dopo la conquista del primo scudetto ad ogni compleanno doveva ricordare quella data a lui altrettanto cara. Amava vantarsi del suo comportamento in campo: «Non ho mai protestato con gli arbitri, se prendono una decisione è inutile». Fu grazie alle sue prodezze che il Napoli dell’epoca si attestò nelle posizioni della classifica senza andare però oltre il quarto posto. Nel 1956, la rottura definitiva, dopo le tribolazioni del campionato precedente, laddove era costretto a scendere in campo seppure acciaccato.  Ma per Napoli, «’O banco ‘e Napule» resta uno dei grandi della storia azzurra e per lunedì il club di De Laurentiis ha chiesto di giocare con il lutto al braccio ed osservare un minuto di raccoglimento per un bomber-gentiluomo che fino all’ultimo aveva amato quei colori. 
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.

 

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