Era piccolo, tosto, vivace, simpatico, Carlo Iuliano, un amico per tutti quando arrivò sul trono azzurro dell’ufficio stampa del Napoli, il migliore acquisto di Ferlaino grazie a Sandro Calenda, il giornalista che aveva portato Carlo nella società di calcio al tempo di Gioacchino Lauro, e su quel trono rimase trent’anni con un garbo, un’efficienza, una carica irresistibile di humour e tanta energia da renderlo popolare in tutta Italia.
In quella sua stanzetta al Centro di Soccavo, nonostante la statura (Maradona che era alto1,68 si “vantava” con lui d’essere più alto di un centimetro), in quella stanzetta era un gigante fra collezioni di giornali, libri, gagliardetti, poster e carte varie, un disordine che era il suo ordine “acrobatico”, sul quale dominava con una voce che era il doppio e il triplo della statura che mai lo condizionò tanto la sua straripante simpatia conquistava tutti, e con essa tutti sovrastava, fino a quell’esclamazione “per l’anima mia”, un misto di finta sorpresa e autoritario sbalordimento che sarebbe potuta essere una perfetta gag di Totò di cui imitava alla perfezione la voce.
Questo è stato Carlo Iuliano, Carletto per tutti, un giornalista di razza prima di essere identificato, per chi lo conosceva poco, in quell’unico ruolo al Calcio Napoli. Aveva cominciato da ragazzo al “Roma”, inizi anni Sessanta, organizzando la vasta rete di informazioni del calcio minore, un’opera preziosa che valorizzò quel settore come non era riuscito ad altri. Già in quella sua prima esperienza, svelò capacità uniche di impegno con una pignoleria che non ammetteva errori, coinvolgendo centinaia di collaboratori e tutti trascinandoli con le sue battute a sorpresa. Entrò poi all’Ansa, al tempo di Umberto Borsacchi e Franco Ammendola, e, “per l’anima mia”, là affermò le sue autentiche qualità di giornalista. Non è facile lavorare nelle agenzie di stampa dove la notizia è tutto, la sintesi è sovrana, l’intuito e la velocità del lavoro devono essere al massimo. Carlo vi riuscì con una naturalezza straordinaria. Il telefono era la sua arma micidiale. Al telefono riusciva a strappare informazioni a qualsiasi interlocutore, fosse un maresciallo dei carabinieri, un commissario di polizia o un vice questore. Veloce era il suo picchiare sulla macchina per scrivere quando trasformava in notizie asciutte ma esaurienti le informazioni che sapeva procurarsi come pochi.
Era un asso dell’informazione. La sua bravura e la sua simpatia travolgevano ogni ostacolo. Divenne popolare già con quel suo oscuro ma essenziale lavoro giornalistico. Vi era portato naturalmente. Sbocciò alla ribalta quando entrò al Calcio Napoli, credo nella prima sede di via Chiatamone dove esordì Ferlaino. L’Ingegnere scoprì in Carletto Iuliano una persona sincera, leale, disponibile e di alto livello professionale.
Che cosa sono stati per Carletto Iuliano trent’anni al calcio Napoli con Ferlaino meriterebbe un lungo racconto. L’intuito, la sincerità, l’abilità e la riservatezza di Carlo, i suoi saggi suggerimenti, sfondarono nell’animo sospettoso e spesso incerto dell’Ingegnere di cui divenne il più prezioso e affidabile collaboratore. Fedele dei secoli come un carabiniere, canzonavamo Carletto. Mai il Napoli ha avuto un ufficio stampa di gran livello come negli anni di “per l’anima mia”. Carlo era solido e non fu mai travolto dalle tempeste che, fra sogni e delusioni, si abbattevano sul Napoli. Il suo carattere dolcissimo ma fermo gli conquistarono la simpatia e l’amicizia di Maradona. Nei giorni spericolati del pibe, Carletto fu un formidabile “ammortizzatore” evitando molte crisi definitive. Con i giornalisti di tutta Italia che lo assediavano, Carlo fu un collega esemplare, attento alle esigenze di tutti, ma sempre padrone del suo ruolo. Quando il regno di Ferlaino tramontò, i successivi dirigenti del Napoli non seppero cogliere in Carlo Iuliano quella persona e quel professionista esemplari che sarebbero stati ancora molto utili, per non dire essenziali. Carlo tornò al suo lavoro di giornalista, appena velato dalla nostalgia per i “tempi azzurri”. Di quella esperienza avrebbe potuto scrivere uno straordinario libro. Non lo fece mai proteggendo risvolti e aneddoti delicati e rinunciando alla vanità di testimone unico e alla popolarità di narratore di “prima mano”.
Pilotò la sua famiglia con la forza e la dolcezza con cui si impose al Calcio Napoli. Perché era un piccolo, grande “capo”. Grandi erano le qualità umane di Carlo. Si erano già svelate nei tempi duri quando da giovanissimo aveva saputo sostenere e indirizzare i suoi fratelli a farsi strada, tra cui Gilberto e Vittorio, il primo diventato professore di lettere e il secondo medico al Loreto Mare, venuti a mancare l’anno scorso. E, accidenti, ora anche Carlo non c’è più. Aveva 71 anni. Ne piangiamo tutti la scomparsa. Per l’anima mia, Carletto!
Fonte: Il Napolista.it
La Redazione
M.V.
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