C’è un racconto che ogni tifoso del Napoli degli anni ’50 ha tramandato a figli e nipoti. La leggenda di un centravanti biondo che il Napoli aveva acquistato per 105 milioni quando lo stipendio medio di un impiegato non superava le 100mila lire. Questo campione svedese giocava e segnava sul campo del Vomero, un giorno (e qui comincia il mito) durante una partita cadde rovinosamente dopo uno scontro di gioco. Lo stadio trattenne il fiato, pensando al giocatore e all’investimento. Un’anonima voce urlò: «È caduto ’o Banco ’e Napule!», la tensione si sciolse e nacque un aneddoto che ha accompagnato Hasse Jeppson per tutta la vita.
Ieri l’ex attaccante del Napoli è morto nella sua casa a Roma. Aveva 88 anni. Tempo fa era caduto, rompendosi il femore. Operato in un ospedale romano, il campione era tornato a casa, assistito dalla moglie napoletana, Emma Di Martino, ma aveva perduto l’uso delle gambe. Per complicazioni renali e cardiache Jeppson ha perso conoscenza e per due giorni è rimasto in coma. I funerali si svolgeranno a Kungsbacka, il suo paese natale in Svezia. Il presidente De Laurentiis ha epresso il cordoglio della società e il Napoli giocherà con il lutto al braccio a Udine dove verrà osservato un minuto di silenzio.
«Quando vidi Napoli rimasi incantato. Aveva quell’odore di mare che mi riportava all’infanzia, quando stavo sugli scogli della mia Kungsbacka» raccontava Jeppson che a Napoli arrivò per volontà di Achille Lauro. Ad aprile del 1952 il Comandante aveva vinto le elezioni comunali, era diventato sindaco con uno slogan: «Per una grande Napoli e per un grande Napoli». Sindaco e presidente del Napoli, Lauro chiese all’allenatore Eraldo Monzeglio chi fosse il giocatore necessario al «salto di qualità». Il tecnico puntò sul biondo centravanti dell’Atalanta. Lauro contattò subito il presidente bergamasco, il senatore Turani, che gli sparò la cifra, astronomica per l’epoca, di 77 milioni e, per la paura di venire bruciato dalla concorrenza, Lauro non era stato troppo a contrattare. Non tirò neppure sull’ingaggio dello svedese, che da buon futuro esperto di finanza, pretese 30 milioni, da versarsi su un conto svizzero. Operazione da 105 milioni: nell’immaginario dei tifosi era il capitale sociale del Banco di Napoli.
E Hasse «Banco di Napoli» Jeppson fu accolto da fuochi d’artificio e un’attesa spasmodica. Ma il gol non arrivava. Lauro minacciò Monzeglio, il tecnico rimise l’incarico alla vigilia di un Napoli-Milan che sarebbe stata la sua ultima partita. Ma Jeppson ruppe l’incantesimo: segnò una doppietta ai fortissimi rossoneri, il Napoli vinse 4-2 e il Comandante fece il suo giro di campo andando ad abbracciare Monzeglio (non più dimissionario).
Storie di un calcio in bianco e nero. Come quella che racconta di Jeppson che si iscrive sotto falso nome ad un torneo di tennis (sua grande passione), conosce una ragazza che poi sarà sua moglie e in Villa comunale supera turni su turni battendo anche campioni internazionali. Monzeglio lo inseguiva di note trovandolo spesso ai tavoli di poker, Jeppson, insofferente, decise allora di cambiare squadra. Si offrì a Juve, Inter e Roma. A fine estate del 1955, proprio tornando da un incontro con i dirigenti romani, la sua modernissima Alfa 1900 sportiva si schiantò contro un albero. L’impatto era stato tremendo, e il suo autista era rimasto ucciso. Jeppson riuscì miracolosamente ad uscirne vivo, ma il suo destino al Napoli era già segnato. Ormai Lauro aveva deciso di sbarazzarsi di lui e, nell’estate del 1956, lo cedette per dispetto al Torino. E con la maglia granata Hasse Jeppson avrebbe passato la sua ultima stagione, prima di ritirarsi a trentadue anni. Con il Napoli 112 presenze e 52 gol. Ma nessuna statistica vale una leggenda. Quella del centravanti che metteva i gol in cassaforte.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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