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Addio ad un eroe silenzioso: il calcio piange “el Marques” di Catalogna

Breve, troppo breve l’avventura terrena di Francesc Vilanova i Bayó, conosciuto da tutti con il più spiccio «Tito», strappato alla vita da quel maledettisimo cancro alla ghiandola parotide che ha interrotto bruscamente una carriera di allenatore di successo appena abbozzata. Una lunga via crucis, cominciata con la prima diagnosi della malattia, avvenuta nell’autunno del 2011 e terminata, dopo tre interventi chirurgici e un alternarsi di speranze e delusioni, in queste ultime ore. L’ex braccio destro di Guardiola, con cui ha condiviso tutti i successi del Barça del tiki -taka, oltre a una tristezza inconsolabile, lascia in eredità al club della vita uno scudetto da protagonista, conquistato grazie al punteggio record di 100 punti.
Dal campo alla panchina. Nato 45 anni fa a Bellcaire, Basso Empordà, in provincia di Girona, Tito entra giovanissimo nell’universo blaugrana, grazie alle sue doti di centrocampista dalla grande visione di gioco e dai piedi raffinati. Tra le mure della celebre Masía nasce l’amicizia con Pep Guardiola. Le cose migliori le mostra con indosso la camiseta del Celta Vigo, poi il riavvicinamento a casa e le prime esperienze sulla panchina, a partire dall’estate del 2001.
Inizia dai ragazzi del Barça, categoria Cadete B. Ai suoi ordini i 14-enni Messi, Fabregas e Piqué. Due anni dopo, con l’arrivo del nuovo presidente Joan Laporta, il settore giovanile blaugrana vive un vero e proprio terremoto. È un fuggi fuggi di tecnici che coinvolge anche Tito, che vaga tra gli spogliatoi di Palafrugell, Figueres e Terrassa, prima di far ritorno alla base nel 2007, in qualità prima di direttore tecnico, poi di secondo del Barça B, guidato dal vecchio amico Guardiola.

La coppia più bella. È l’inizio di un sodalizio che fa epoca. Scelta azzeccatissima, come dimostra l’en plein di 6 titoli su 6 conquistati al primo tentativo. In tutto, saranno 14 in 4 anni, tra cui tre titoli e due Champions League. Tutti i riflettori sono per il frontman Guardiola, ma il discreto Tito, in qualità di tattico, ha un ruolo determinante. Il grande pubblico lo scopre in coincidenza del celeberrimo «dedazo» di Mourinho, che si ritrova in un occhio nel corso di un infuocato Clásico di Supercoppa di Spagna.
Siamo nel 2011, di lì a pochi mesi la diagnosi della malattia e la prima pausa forzata. Pare riprendersi, tanto che accetta la panchina lasciata vacante da Pep, offertagli l’anno successivo dal nuovo presidente Rosell. Scelta di continuità che premia il club, che vola verso la sua 22ª Liga. Successo, che però, Tito non può godersi a pieno.
A dicembre, infatti, è costretto a fermarsi nuovamente, a causa del riapparire del tumore. Inizia un’epoca di traversate oceaniche, alla ricerca della cura più appropriata. La Liga termina in tripla cifra e quando già si pensa alla nuova stagione, l’ultimo stop e l’adiós definitivo. Lascia la moglie, Montse, e i figli, Carlota e Adrià.Utopia Std

Fonte: Corriere dello Sport

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