Cuore e crepacuore. Vince la Juve. E dispiace per il Napoli, andato così vicino alla Supercoppa, difendendosi bene – fino al cambio Fernandez per Cannavaro – e cogliendo il vantaggio con Cavani e Pandev. Il dispiacere è ancora più acuto perché il Napoli ha fornito segnali positivi. Grande partita di Cavani, encomiabile sacrificio di quelli che non erano a posto, ma hanno lottato come dovevano e potevano.
Alla fine il ritornello è ripetitivo: dare tutto non basta. Perché l’uscita di scena dalla finale di Pechino, è stata amara. Perché è andato in onda un match di nervi a fior di pelle, di un calcio italiano da sempre avvelenato con se stesso, brutta immagine per una finale da esportazione come questa giocata a Pechino. Arbitro tutt’altro che capace, reazione a caldo del Napoli che abbandona la premiazione, perché stufo di un rigore che c’era e non c’era, di espulsioni infondate. E poi la Juve che festeggia e dedica il successo allo squalificato Conte (in una squadra estera sarebbe successo?). Insomma, spot tutt’altro che gradevole quello trasmesso dalla Cina.
Ora si può discutere dei meriti, delle fortune, delle stelle, azzardare una rapida analisi per provare a stabilire se la Supercoppa sia stata realmente aggiudicata alla squadra più meritevole. Tuttavia mai come ieri le capacità si sono intrecciate con le fortune. E queste si sono trasformate in sviste ed errori arbitrali sino a sancire la svolta della partita. Il Napoli ha giocato per almeno un’ora meglio della Juve, anche se il gol su rigore di Vidal ha scompaginato i piani di Mazzarri: il suo 3-4-2-1 mirava al controllo della partita per esprimere il massimo nel finale. La Juve, infatti, sino al pareggio aveva denotato scarse idee e poca corsa ed aveva consegnato ai partenopei l’iniziativa. Colpita a freddo, la squadra di Conte (o Carrera, fate voi) ha reagito con ritardo e Vucinic – assai meglio di Matri – appariva troppo isolato, tuttavia sempre ispirato. I rimpianti aumentano quando si considera che la Juve di ieri è stata l’ombra della compagine che ci si aspettava. Col peso psicologico dei precedenti favorevoli, Mazzarri aveva spaventato e in una certa misura snaturato i rivali. Purtroppo hanno deciso due gol su cui il Napoli (prima De Sanctis e Behrami, poi Fernandez) ha dormito e la Juve non ha praticato sconti.
La formazione di Conte presenta un dato interessante: ha sempre mantenuto un possesso di palla superiore agli avversari. Quanto alla Mazzarri-band, essa si è rivelata, ancora una volta, votata al contropiede. Le riescono i blitz, mai le manovre di pressione costante. Schiacciare gli attaccanti contro la difesa avversaria vuol dire snaturare Pandev e Cavani. Sono caratteristiche che Mazzarri conosce, avendone intuito indole e tendenze. Il tecnico toscano dimostra di saper gestire un congegno molto complesso: squadra raccolta, interdizione puntuale, rapidissima inversione dalla fase passiva a quella attiva, mai punti di riferimento agli avversari. Come una molla, il Napoli sa distendersi negli spazi, variando i versanti. Non è un ritorno all’antico, ma un’esaltazione del calcio tattico nella moderna interpretazione di uno scattista come Cavani e di un fine giocatore come Pandev. Senza Lavezzi, questo nuovo Napoli – che non è più una tigre, ma un levriero – ha certamente strada da percorrere: stavolta, però, passando dalla porta principale.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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