« Possiamo discutere per migliorare ma una cosa è evidente: in materia di discriminazioni il punto di riferimento è e resta la normativa dell’Uefa». Giancarlo Abete, presidente della Figc, non chiude la porta ad Adriano Galliani e alla Lega ma non la spalanca nemmeno. Lunedì ha seguito da lontano le vicende calcistiche italiane essendo impegnato a Budapest per conto dell’Uefa. Lì lo ha raggiunto la telefonata del vice-presidente del Milan. Ora aspetta di leggere la lettera che gli invierà Maurizio Beretta, presidente della Lega. Il cuore della questione è semplice: la norma, almeno per quanto riguarda la discriminazione territoriale, va riformata.
Presidente, è pronto a rimaneggiare i codici?
«Aspetto che venga articolata una proposta. Quando ci sarà, la valuteremo».
Con quali margini?
«La normativa fa riferimento a un quadro internazionale strutturato. Noi non abbiamo fatto altro che inserirci nell’alveo regolamentare definito dall’Uefa, per giunta approfondendo la questione».
Cosa intende dire?
«La normativa ha avuto due passaggi in Consiglio Federale. Gli approfondimenti non sono mancati. In più, qualsiasi novità inserita nelle Noif o nel codice di giustizia sportiva passa al vaglio del Coni».
Procedura seguita anche in questo caso?
«Senza alcun dubbio».
Discorso chiuso?
«Se ci sono da fare delle riflessioni su alcuni aspetti relativi all’applicazione della norma, ad alcune fattispecie, le faremo. Ma, ripeto, il quadro di riferimento è ben strutturato».
Galliani e i presidenti di A sollevano una questione specifica: la discriminazione territoriale, riferimento che manca nella disciplina europea.
«E’ vero ma la Uefa propone un concetto anche più generale: la dignità delle persone. E se si legge con attenzione la motivazione che ha portato alla condanna della Lazio dopo la partita con il Legia, ci si rende conto che la sanzione non è scattata per una offesa razzista, ma proprio per ingiurie che hanno riguardato la dignità personale».
I presidenti dicono, però, che questo riferimento rende la norma italiana più dura. Concorda?
«Ogni legislazione fa i conti con le situazioni specifiche. E la discriminazione territoriale non è un fungo spuntato all’improvviso nei nostri codici. C’è da tempo».
Da quanto tempo?
«Guardi, ho fatto rapidamente una ricerca: il riferimento è presente nei nostri codici dal 1990».
Non è nata con questo giro di vite richiesto dall’Uefa.
«No. L’unica novità è nel complesso sanzionatorio».
Prima arrivava una multa, adesso…
«Adesso si chiudono le curve e gli stadi. E’ questa la diversità e questa diversità ha fatto scattare l’attenzione. Ma la discriminazione territoriale era già uno strumento di contrasto: è stata solo rafforzata la pena».
Conseguenza?
«La questione della non punibilità della discriminazione territoriale i presidenti avrebbero dovuto sollevarla prima, molti anni fa. Un certo atteggiamento è punibile tanto che venga sanzionato con una multa quanto che venga colpito con la chiusura di uno stadio. Ripeto: la discriminazione territoriale è presente nei nostri codici da anni. La Uefa, nel frattempo, ha ampliato il raggio di azione parlando di dignità della persona. A volte scopriamo l’acqua calda. Prenda la storia della Lazio…».
In che senso?
«Il Fare (Football against racism in Europe, ndr) non è un soggetto sconosciuto, è una rete che collabora con la Uefa per combattere il fenomeno della discriminazione razziale. Sembra quasi, invece, che la denuncia contro la Lazio sia partita da un passante che si trovava lì per caso».
I presidenti dicono: così siamo ostaggi degli ultras. Non pensa che abbiano qualche ragione?
«Il principio della responsabilità oggettiva è la colonna portante dei codici di disciplina della Fifa e della Uefa. E’ evidente che si tratta di un principio che finisce per scaricare su un soggetto le colpe di terzi. Ma si tratta di un punto di riferimento internazionale. Quando la sanzione era di tipo pecuniario, nessuno parlava di azioni ricattatorie».
Le società devono farsene una ragione?
«C’è una disciplina internazionale a cui noi ci siamo adeguati, una disciplina di forte contrasto. Cinque-sei società italiane partecipano alle Coppe europee e si ritrovano a fare i conti con le medesime sanzioni: non ci sarà il riferimento alla discriminazione territoriale ma quello alla dignità umana è anche più generale e coinvolge veramente tutto».
Ma non si potrebbero prevedere delle attenuanti?
«L’indicazione data con le norme è chiara. Poi è doveroso un approfondimento sulle procedure, sulle fattispecie, sulle condizioni. La Federazione è aperta al confronto ma il quadro di riferimento internazionale è quello»
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
G.D.S.
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