Quando i nuovi boss della Vanella Grassi decidono di lanciarsi nel mondo del calcioscommesse non sanno ancora bene come muoversi, non sanno su quali cifre debbano viaggiare certe intese e si lasciano sfuggire un paio di possibilità di combine. Emerge dagli atti dell’inchiesta su calcio e camorra, indagine che prosegue e svela nuovi dettagli mentre la Procura federale ha avviato i suoi accertamenti e gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere all’interrogatorio di garanzia davanti al gip. Il boss timido. «Il primo incontro fu alla vigilia della partita Cesena-Avellino ma non si concluse nulla. Vi fu un altro incontro alla vigilia di Avellino-Trapani e sempre non si concluse nulla. Non so di preciso perché, ma posso dire che forse mio fratello era un po’ timido nel dire apertamente quanto volessero per vendersi la partita». È Antonio Accurso, ex capoclan del clan della Vanella e oggi collaboratore di giustizia, a raccontare il retroscena. Le indagini, coordinate dal pm Maurizio De Marco del pool antimafia guidato dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice, hanno cristallizzato nei capi di imputazione solo due partite dell’Avellino in serie B con il sospetto che siano state truccate per consentire ai boss di Secondigliano di scommettere su un risultato certo e garantirsi la vincita: Modena-Avellino del 17 maggio 2014 e Avellino-Reggina del 25 maggio. Su altri match si ipotizzano tentativi di condizionamento non andati a buon fine, inizialmente per l’inesperienza del fratello di Accurso – quell’Umberto diventato in questi ultimi due anni un latitante pericoloso e un capo temuto e dall’11 maggio in carcere per camorra e omicidio – e successivamente per motivi diversi.A conoscersi prima. Nel fitto scambio di sms intercettati tra calciatori e uomini del clan, l’ex boss Accurso ha ricordato anche quello in cui gli venne confidato: «Se ci conoscevamo prima…» raccontando del tentativo di combinare il risultato di Padova-Avellino. «Era l’ultima di campionato, il Padova era già retrocesso. Ma non se ne fece nulla…». Perché gli chiede il pm? «Mi avete arrestato», risponde Accurso facendo riferimento alla sua cattura nell’ambito di una precedente inchiesta per fatti di camorra. Il linguaggio in codice. Per le partite che si sospettano truccate l’avvertimento del clan era chiaro, meno esplicito il linguaggio utilizzato: «Tu gli hai spiegato che se l’orologio è falso mi dà 350 indietro» si ricorda al calciatore prima del match. Per gli inquirenti l’orologio è il termine convenzionale per indicare il risultato della partita da truccare e i 350 sono le migliaia di euro delle scommesse che i capiclan non intendono perdere. I boss puntavano da 150mila a 400mila euro.Il silenzio davanti al gip. Nel primo confronto con i magistrati che coordinano l’inchiesta i due calciatori, da lunedì agli arresti domiciliari, si sono avvalsi per ora della facoltà di non rispondere. Un modo per prendere tempo in attesa di chiarire la propria posizione in una tappa successiva dell’iter giudiziario che potrebbe anche essere l’udienza dinanzi al tribunale del Riesame. Perché sia Luca Pini, ex calciatore, sia Francesco Millesi, ex capitano dell’Avellino, sono pronti a difendersi. L’interrogatorio di Pini, assistito dall’avvocato Diego Di Bonito, si è svolto a Napoli davanti al gip Ludovica Mancini che ha firmato gli arresti nei giorni scorsi, mentre quello di Millesi, assistito dall’avvocato Dario Vannetiello, si è svolto per rogatoria dinanzi al gip di Catania. E sempre ieri a Napoli si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i sette indagati in carcere nell’ambito del filone dell’inchiesta che riguarda invece i traffici di droga e le piazze di spaccio gestite dal clan della Vanella Grassi. Le magliette omaggio. È la curiosità che svela Accurso: «Millesi mi promise la maglietta con la quale aveva partecipato, forse solo in panchina, alla partita di Coppa Italia Avellino-Juventus con il numero 11. So che Armando Izzo ha regalato a Petriccione la maglietta di Tevez ottenuta nella stessa partita».
Fonte: Il Mattino
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