È stato uno dei più grandi arbitri della storia del basket italiano, forse il numero uno. Bastino per lui le parole con cui Dan Peterson lo dipinge: «Leggendario. A un arbitro vengono chieste tre cose: conoscenza delle regole, imparzialità e personalità. Ninì in campo aveva tutto questo». L’altra notte se n’è andato a 83 anni per un problema cardiaco Pasquale Ardito, per tutti Ninì, inserito nell’Italia Hall of fame dello sport dei canestri, un mito con il fischietto. Abitava da solo, accudito da Nando Giordano, anche lui ex grande arbitro napoletano che per Ninì era come un figlio. I funerali si terranno stamattina alle 11 nella chiesa Santa Maria degli Angeli alle Croci in via Michele Tenore nella zona dell’Orto Botanico e ci sarà tutta la pallacanestro campana. Ardito leggeva i giornali sportivi alla rovescia, partendo dal basket, che era nelle sue vene come il sangue. Arbitro in serie A a cavallo tra i ’60 e i ’70, poi internazionale dal 1971, fece coppia con un altro straordinario arbitro, Vittorio Compagnone, anche lui napoletano. Dal ritiro avvenuto nel ’74 fino al ‘98 è stato istruttore nazionale, di recente era tornato come senior tutor. Smise per un infortunio avvenuto durante una partita dell’Olimpia Milano, quando George Brosterhouse, americano dell’epoca, gli franò addosso rompendogli l’anca. Carriera finita e un calvario che non si interruppe mai, con 8 protesi sostituite negli anni. Uno delle persone a lui più vicina era Dan Peterson. «No, vi prego, ditemi che non è così», dice il piccolo-grande coach al telefono. Poi dopo alcuni secondi di silenzio, riprende con la voce rotta dalla commozione: «Lo avevo sentito al telefono la settimana scorsa. Era per me il personaggio napoletano per eccellenza, sarei stato ore e ore a sentire i suoi favolosi racconti sul basket. Mi aveva soprannominato affettuosamente Napoleone, per la mia statura e per la capigliatura che avevo all’epoca. Era nato tutto in una partita: stavo spesso in piedi e protestavo, lui si avvicinò e mi disse in napoletano: “Assiettete, Napuliò”, siediti Napoleone. Il basket italiano gli deve tantissimo, io ho perso un amico vero». Anche Dino Meneghin ne parla con affetto: «È stato unico e straordinario nel modo di arbitrare: se vedeva che facevi il furbo in campo, con qualche trucco ben nascosto, lui invece di fischiare subito fallo, si avvicinava e ti faceva capire che aveva visto tutto. Da allora ho avuto per lui sincera ammirazione, perché gli bastava uno sguardo, ti aiutava a stare in campo, con lui non riuscivi a protestare». Manfredo Fucile, presidente della Fip Campania: «Moltissimi arbitri devono a lui la carriera in serie A, ha insegnato tutto a generazioni di fischietti». Fino a poche settimane lo si poteva ancora vedere alle partite dei campionati minori, con la sua gruccia, seduto in un angolino, per non disturbare. Per il piacere di sentire ancora il rumore del pallone sul parquet e parlare di quel mondo che tanto ha amato.
Fonte: Il Mattino
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