Caro Piermario,
mi permetto di darti del tu, visto che sei solo otto mesi più grande di me, e voglio condividere con te il mio ricordo dell’attimo in cui sei entrato, per non ne uscirne più, nella mia vita.
14/04/12, guardo la tv seduto sul tappeto (abitudine strana presa da bambino e che non non sono mai riuscito a togliere in maniera definitiva) e decido di guardare la Serie B.
È un normalissimo sabato pomeriggio di metà aprile, dove, tra uno sbadiglio e l’altro, perché la voglia di pennichella a quell’orario domina, si comincia a lanciare qualche idea per la sera ed ero del tutto ignaro, come tutti del resto, che cosa stesse per accadere.
La tv é sintonizzata sul canale di Sky che trasmette Pescara-Livorno, perché la squadra abruzzese, con Zeman in panchina, sta dando spettacolo e soprattutto, perché tra i padroni di casa gioca la giovane promessa napoletana Lorenzo Insigne, e all’improvviso succede l’imponderabile.
E’il 31′ del primo tempo, l’occhio cade subito su di te, verso la metà campo, l’azione da gioco si sta svolgendo sulla fascia sinistra, cadi al suolo e ti rialzi, poi cadi di nuovo e ti rialzi ancora , poi ancora e dopo la terza volta t’accasci al suolo definitivamente. Urlo, mi alzo in piedi, metto le mani tra i capelli, mi manca il fiato e sono senza parole. Iniziano a curarti, compagni e avversari sono increduli e impauriti, nello stadio regna un silenzio ansioso e lancinante. Dopo pochi minuti interminabili, tra gli applausi del pubblico, ti portano in ospedale e incomincio a pensare, o é solo una speranza annebbiata, che tu ce la possa fare. Giro canale, cerco di non pensarci, ma oramai il tran tran della notizia ha fatto il giro dei vari organi d’informazione, quindi non posso più scappare da quelle immagini, dove ogni frame è un colpo al cuore e all’anima e attendo.
Verso le 17, arriva la notizia che nessuno voleva apprendere: non ce l’hai fatta. Sono ancora senza parole, mi guardo intorno, ma sono perso nel vuoto, le immagini della tv si sgranano e la voce dei protagonisti rimbombano nelle mie orecchie, come se ci fosse un eco infinito. Cerco di distrarmi, ma quelle immagini che ti rialzi più volte non se ne vanno dalla mia mente. Le notizie si susseguono e non si fermano, mentre si ferma il calcio italiano e, soprattutto, mi fermo io. Tutti parlano della tua vita sfortunata: di quando già da piccolo eri rimasto orfano d’entrambi i genitori, di quando nel 2004 si era suicidato tuo fratello disabile e che eri rimasto solo con tua sorella, di cui ti occupavi, anch’essa disabile. In maniera ipocrita, perché lo si fa solo in questi momenti, mi convinco che c’é sempre qualcuno più sfortunato di me.
Ti conosco come un bravo calciatore volenteroso e tutto cuore, il cuore che ti ha portato via.
Vedo il tuo profilo Twitter e mi catapulto nella tua vita ‘normale’.
Non fai pesare minimamente tutte le sfortune che avevi subito , anzi fai trasparire una voglia incredibile di vivere una vita normale e io, in maniera ancora una volta ipocrita, mi arrabbio con me stesso perché spreco così tanto tempo in inutili stupidaggini, invece di ‘succhiare tutto il midollo della vita’ .
Sono trascorsi otto anni da quel ‘normale’ sabato pomeriggio, sia il Vicenza che il Livorno hanno ritirato la tua maglia numero 25. Il club veneto, inoltre, ha deciso di intitolarti il Centro tecnico di Isola Vicentina. In tuo onore è stato istituito un memorial dal titolo La speranza… in un ricordo e ti sono state intitolate la Gradinata dello Stadio Armando Picchi di Livorno e la Curva Sud dello Stadio Atleti Azzurri d’Italia di Bergamo. Un anno esatto dopo la tua morte ti è stato intitolato il settore ospiti (curva sud) dello Stadio Adriatico di Pescara, più tante altre iniziative.
E io? Sono cresciuto, sono maturato (almeno spero) , mi sono fidanzato due volte (la seconda volta é in corso d’opera) , ho viaggiato, ho perso mia nonna, ho pianto, ho riso, non ho ancora concluso l’università, ho cercato d’iniziare una carriera ‘giornalistica normale’, non ho succhiato tutto il midollo della vita che avrei voluto (in pochi lo fanno realmente), ma non riesco a togliermi dalla mente l’ attimo in cui ti rialzi tre volte prima d’accasciarti, eternamente, al suolo. In quelle tre volte hai trasmesso tutta la tua voglia di vivere, tutta la voglia di mangiare il midollo della vita.
All’inizio volevo scrivere solo un post, ma ne é uscito fuori un intero articolo, perché sei, non solo per me, fonte d’ispirazione e, come un temporale estivo, ho scritto tutto di getto. Hai un fornito un’ulteriore dimostrazione che il calcio non é solo uno sport, ma metafora della vita stessa.
Per concludere, ti vorrei ringraziare perché mi hai insegnato che tutto quello che mi circonda é meraviglioso, e, soprattutto, come hai scritto in uno dei tuoi ultimi tweet, che mostra un sole calante sul mare, ho cominciato a sentire di esserci.
DI WILLIAM SCUOTTO
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