Domani, venticinque anni fa. 10 maggio 1987. Un punto per essere campioni. E quel punto il Napoli lo mette al sicuro in casa, contro la Fiorentina. Gol di Carnevale dopo un colpo di tacco di Giordano e, poi, pareggio di un giovane Baggio. Garella, Bruscolotti, Volpecina, Bagni, Ferrario, Renica, Carnevale, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano. In campo nel finale anche due ragazzi: Ciro Ferrara e Gigi Caffarelli, con Ottavio Bianchi gran maestro del successo. E sarà sempre troppo tardi quando al San Paolo comparirà una targa -ma grande- con questi nomi e quella data. O magari -che ne dice caro De Laurentiis?- in uno stadio nuovo, vero, fatto anche per la gente, una “passeggiata dei campioni” stile Hollywood o più semplicemente Montecarlo per ricordare che lì, quel giorno, da quei giovanotti fu scritta una pagina di storia e di felicità.
Perché il Napoli campione non era stato mai; perché di scudetto aveva visto far festa sempre altre squadre, altra gente, altre città. Quel giorno, invece, quella felicità gli apparteneva. Era sua. Se l’era guadagnata e meritata sul campo con la genialità del più grande calciatore d’ogni tempo, ma non solo con quella.
EROI DI UN POPOLO INTERO – Che squadra, quella squadra! Uno scudetto che medicò anche molte delle ferite ancora aperte del terremoto dell’Ottanta. Un tricolore che a mo’ del mantello d’un mago argentino fece sparire in un momento -e per un momento- le brutture e le sofferenze di tempi pure allora complicati. Proprio così: quel successo non fu solo il successo d’una squadra di pallone, ma d’un popolo intero. Il popolo del calcio e anche di più. Perché quando la festa tracimò, quando dallo stadio la felicità scivolò come un fiume in piena nelle piazze, nelle strade eleganti e nei vicoli senza sole senza fare differenze di cultura e portafoglio, quella Napoli divisa, mortificata, fatta a pezzi, si sentì una, bella e orgogliosa un’altra volta. E senza confini. Perché fecero festa i napoletani in tutto il mondo. Da Sidney a Parigi, da New York alla Germania e persino alle Maldive sulle note de “I ragazzi della curva B”, l’inno azzurro cantato, interpretato da Nino D’Angelo, allora con addosso un jeans e una maglietta.
DOMANI IERI – E domani, venticinque anni dopo, quelle note risuoneranno un’altra volta. Il Nino di Napoli, infatti, sarà tra gli ospiti della grande festa voluta e organizzata da Mary e da Beppe Bruscolotti nel ristorante di famiglia. Come si chiama? Ovviamente, “10 maggio 1987” e sta in cima alla collina di Posillipo. Ci saranno molti di quei ragazzi che furono in campo in quella indimenticabile stagione, dirigenti d’allora con Ferlaino per una notte di nuovo presidente, volti e nomi protagonisti di quel Napoli e quel calcio. No, venticinque anni dopo non poteva scivolar via in silenzio quella data. Ecco perché l’antico capitano azzurro -che spontaneamente cedette la fascia a Maradona: «Ma tu in cambio dovrai farmi vincere lo scudetto» , fu questo il patto- ha voluto questa festa fatta di ricordi, filmati e, chissà, forse anche una telefonata da Dubai, dove ha casa e panchina dorata il grande Diego.
NON SOLTANTO PER LA MEMORIA – Una notte azzurra, insomma. La voglia di tener viva la memoria storica d’una squadra che visse la città come nessun’altra e una città che, bisognosa di successi com’era, impiegò nulla ad identificarsi in quella squadra. E ovviamente in Maradona, figlio scapestrato ma sincero, eletto per acclamazione re della città. Un giorno, anzi, una notte di primavera piena, uscendo un po’ “allegro” da un locale, Diego cominciò a cantare un motivo argentino a perdifiato. Uno, due minuti e inevitabilmente al primo piano d’un palazzo antico si spalancò un balcone. «Ma che fai? Chi credi di essere» , gli gridò una vecchia, bella signora inviperita. «Chi sono? Io sono Maradona» , replicò gonfiando il petto Diego. «Sei Maradona? E allora canta. Canta» . Fu questa la risposta della bella, vecchia signora innamorata.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.