La Campania del pallone l’ha girata quasi tutta, partendo da Giugliano, dove è nato e vive. «E non mi muoverò dalla mia città nonostante quello che si legge». L’intervista a Gigi Castaldo, attaccante di trentun anni che ha spinto l’Avellino al vertice della classifica di serie B segnando domenica nel derby con la Juve Stabia, comincia da qui. Dai tormenti nella Terra dei Fuochi.
Mai pensato di andare via? Non ha paura?
«No. La preoccupazione c’è, non per me ma per i giovani. Io ho una bambina di diciassette mesi, si chiama Morena e ho stampato la sua foto sulla maglia: la mostro alle telecamere dopo ogni gol, l’altra sera la casacca verde me la sono sfilata e sono stato ammonito dall’arbitro. Ecco, penso ai giovanissimi, sperando che si possa fare chiarezza sulla nostra terra e soprattutto risolvere questi problemi. Resto qui, è la mia terra».
L’Avellino le dà grande felicità, invece.
«Tanta. Siamo al primo posto, ma non ci montiamo la testa».
La pensa come Rastelli, il suo allenatore.
«I tifosi sono liberi di sognare la promozione in A, invece noi dobbiamo raggiungere i 50 punti che rappresentano la quota salvezza».
S’aspettava questa partenza sparata?
«No, sinceramente no. Ci sono squadre più attrezzate rispetto all’Avellino che stanno facendo fatica: è accaduto questo nelle prime giornate di campionato».
Qual è il segreto della squadra?
«Non ci sono segreti. C’è il lavoro cominciato un anno fa con Rastelli: già dal ritiro precampionato le cose sono state più semplici perché ci conoscevamo a memoria. Ci sono i nostri sacrifici, quelli del tecnico e della società. C’è il supporto dei tifosi, che è straordinario e lo dico con cognizione di causa».
In che senso?
«Domenica sera, nella fase finale del derby, ho cominciato ad accusare stanchezza, ero rientrato in campo nella settimana precedente, a Brescia, dopo un infortunio. L’urlo dei tifosi mi ha dato la carica e mi ha consentito di non sentire la fatica. Tifosi così dove sono?».
Tanti di loro hanno visto la serie A e adesso sognano ad occhi aperti.
«Li capisco ed è normale che sia così perché il calcio è passione. Questa è una piazza che genera entusiasmo, tuttavia gli irpini sono intelligenti e sanno stare con i piedi per terra».
Due gol nelle ultime due partite, l’esultanza contro la Juve Stabia è stata particolare: eppure ha giocato per quattro anni a Castellammare.
«Sì e ho avuto buoni rapporti con tutti. Però, quando sono tornato da ex, prima con il Benevento e poi con la Nocerina, sono stato fischiato al primo calcio al pallone e non ho capito perché. Non ne faccio un dramma, comunque: è il nostro mestiere».
Esclusa la parentesi di Ancona dodici anni fa, questo mestiere lei lo ha vissuto esclusivamente in Campania: Puteolana, Juve Stabia, Benevento, Nocerina e Avellino.
«Ho cominciato nelle giovanili della Puteolana e l’unica esperienza lontano dalla regione è stata brevissima».
Perchè questa scelta?
«Per la verità, opportunità di giocare in altre grandi piazze non campane non ne ho avute tante. E poi vuoi mettere la passione di Nocera, Castellammare, Benevento e Avellino? Giocare davanti a 10mila o 15mila spettatori? Un giocatore di categoria dovrebbe viverle certe emozioni. Non ho rimpianti».
Dalla serie D alla serie B, quattro campionati vinti con Juve Stabia, Benevento, Nocerina e Avellino. Mai giocata una partita in A, però.
«E mi piacerebbe farlo con questa maglia. Se proprio devo confessare un mio sogno, è questo».
Ricorda come la soprannominarono a Benevento?
«Certo: Ibrahimovic… Dissero che avevamo qualcosa in comune».
Lusingato?
«Ma Ibra è di un altro pianeta. Soprattutto per il conto in banca».
Lei ha giocato due anni con la Nocerina: che ne pensa di quanto è accaduto nove giorni fa a Salerno, con i suoi colleghi che non hanno giocato il derby perché minacciati dagli ultrà?
«Vergognoso. Se devo essere sincero, non sono rimasto sorpreso perché conosco quella piazza. Ma un conto è essere esigenti verso i calciatori e chiedere i risultati, un altro creare situazioni come quella della scorsa settimana. Sono cose che non dovrebbero vedersi nel 2013. Serve una chiara distinzione di ruoli: i giocatori facciano i giocatori e i tifosi facciano i tifosi».
È nato a pochi chilometri da Napoli: ne è tifoso, sognava di indossare la maglia azzurra?
«Simpatizzante del Napoli, certo, perché sono napoletano. A me piace soprattutto il calcio e mi gratifica indossare la maglia di una società prestigiosa come l’Avellino».
Un attaccante fissa sempre un numero di gol come traguardo della stagione: il suo qual è?
«Il mio obiettivo è più concreto: essere utile all’Avellino, attraverso i gol e non solo. Ho superato i postumi di un infortunio, mi sento meglio e quindi posso dare di più alla squadra. Se riusciamo a segnare io, Galabinov e gli altri compagni di reparto, è merito del gruppo che ci mette nella condizione di essere incisivi. È così che si vince».
Fonte: Il Mattino
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