Paella? No, spaghetti. Avrà pensato questo Aurelio De Laurentiis ad ora di pranzo quando, a tavola con i dirigenti azzurri, si decideva il destino della panchina del club più chiacchierato d’Italia. A due anni esatti dall’arrivo di Benitez alle pendici del Vesuvio, si apre infatti un nuovo capitolo nella pagina partenopea, ed è rigorosamente made in Italy. Un ritorno al passato che farà piangere qualche nostalgico, e sorriderne qualcun’altro. In effetti più che un salto indietro quella della panchina azzurra è una vera e propria tradizione: l’ultimo europeo prima dello spagnolo a sedervi su fu il boemo Zeman, quindici anni fa esatti. Prima di lui gli indimenticati Boskov e Vinicio. Oriundi a parte, bisogna tornare al 1938 per trovare un allenatore ungherese al San Paolo. Tutti gli altri connazionali: da Amadei a Sallustro, da Di Marzio a Lippi, da Montefusco a Mazzone, fino ad arrivare ai più recenti Edy Reja e Mazzarri. Rafa in verità, spezzando la rotta, ha portato quel pizzico di internazionalità che serviva per rilanciare le ambiziose speranze di vincita oltre i confini. Accolto come un vate, è stato protagonista di un’ottima prima annata per poi, però, fallire gli obiettivi nell’ultima stagione. Eppure mancava tanto così al madrileno, esperto di mille battaglie in campo internazionale, per giocarsi le sue chances in una finale europea. Invece nulla da fare. L’ostacolo Dnipro, che sembrava tutt’altro che insormontabile, si è rivelato roccioso. Adesso Sarri, un uomo tutto d’un pezzo, metodico, maniaco della precisione, che appare tutto il contrario di Benitez, amante dei singoli. Una gavetta alle spalle tra A, B e serie minori per presentarsi a Napoli come meritevole di tali onori. Da lui nessun tifoso si aspetta il tanto agognato salto di qualità, ma spera di trovare serietà ed equilibrio. Sarri viene dall’Empoli, la regina delle piccole in questa stagione e magari ci si aspetta che proprio contro le squadre con una tradizione inferiore rispetto al Napoli riesca a fare la differenza. Auguri e benvenuto.
A cura di Danilo Zanghi
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