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Cotonou, quella convenzione dell’Unione Europea che fa tremare i vertici del calcio italiano

Una possibile rivoluzione alle porte. Il calcio Italiano si prepara a quella che potrebbe essere una svolta epocale per la gestione degli extracomunitari. Ma da dove arriva questa possibilità che spaventa non poco i vertici Federali del calcio nazionale? Dobbiamo tornare indietro al 23 giugno del 2000 quando a Cotonou, sede del Governo dello stato del Benin, viene firmato un accordo tra l’Unione Europea e i 79 Paesi appartenenti all’ACP di cui 48 dell’Africa subsahariana, 16 dei Caraibi e 15 del Pacifico. Questo accordo, che ha durata ventennale, va ad attivare un maggiore coinvolgimento della società civile nei processi di democratizzazione dei Paesi ACP, promuove le strategie di sviluppo mirate alla riduzione della povertà e definisce un nuovo quadro di cooperazione economica, che liberalizza il commercio e pone fine al regime di preferenze commerciali non reciproche. Questo vuol dire che, con l’obiettivo appunto di ridurre ed eliminare la povertà, i cittadini lavoratori, e nella fattispecie gli atleti, di questi 79 Paesi potranno essere tesserati come comunitari nei paesi dell’Unione Europa.

E pensare che questo accordo in Italia è già stato introdotto nel 2012 dalla Federbasket. Mentre uscendo dai confini nazionali e rimanendo nel calcio vediamo che Spagna, Germania, Francia e Portogallo l’hanno già adottato da molto tempo. I possibili scenari per la nostra Figc sarebbero molteplici. Positivi per le Società che avrebbero un ventaglio quasi sconfinato per tesserare altri calciatori considerati possibili talenti. Negativi per lo sviluppo dei vivai del calcio italiano perché proprio questi ultimi potrebbero risentirne maggiormente. La Figc tentenna proprio perché ha come obiettivo primario la riduzione degli stranieri e la valorizzazione in assoluto dei giovani calciatori nazionali. Una considerazione finale però va fatta. I primi paesi che hanno recepito questo accordo sono stati la Spagna e la Germania. E guarda caso sono loro che hanno vinto le ultime due edizioni dei Campionati Mondiali. Un caso? Forse no. O forse semplicemente una manifestazione esemplare di come gestire al meglio i vivai anche in presenza di una “regolamentazione” potenzialmente pericolosa proprio per il cacio giovanile nazionale. Ai posteri l’ardua sentenza. Ma una decisone prima o poi dovrà essere presa. Ecco la lista dei 79 Paesi: Africa: Angola, Benin, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Capo Verde, Ciad, Comore, Congo, Costa d’Avorio, Eritrea, Etiopia, Gabon, Ghana, Gambia, Gibuti, Guinea, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Kenia, Lesotho, Liberia, Madagascar, Malawi, Mali, Mauritania, Mauritius, Mozambico, Namibia, Niger, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sudafrica, Rwanda, Sao Tome e Principe, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Swaziland, Tanzania, Togo, Uganda, Zambia, Zimbabwe. Caraibi: Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Cuba*, Domica, Giamaica, Grenada, Guyana, Haiti, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Saint Lucia, Suriname, Trinidad e Tobago. Pacifico: Fiji, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Salomone, Kiribati, Nauru, Niue, Palau, Papua Nuova Guinea, Samoa, Micronesia, Timor Est, Tonga, Tuvalu, Vanuatu.

Fonte: Gianluca Di Marzio

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