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San Siro punto di partenza, non d’arrivo: c’è da lavorare sulla mentalità

Il Napoli ha vinto dove erano cadute la Juventus e la Lazio, il quarto successo consecutivo del 2017 traccia una strada da percorrere per trasformarsi da realtà interessante a grande squadra

91 anni, 79 sfide, solo 17 i successi del Napoli. E’ la storia di Milan-Napoli a San Siro, non è una partita normale, è lo specchio di un divario storico nettissimo a favore dei rossoneri. Il Milan, l’immagine del Nord definito “la locomotiva del Paese”, il Napoli, una squadra “povera”, simbolo di una grande identità di popolo che ha vissuto di fiammate, la più intensa e significativa con Diego Armando Maradona, colui che per sette anni ha guidato il processo di sovversione degli equilibri del calcio italiano.

La storia naturalmente non è un feticcio, deve essere trasportata nel presente dove i rapporti di forza si sono trasformati: il Milan balbetta in attesa del “Messia cinese”, il Napoli naviga da sei anni nelle prime cinque posizioni della classifica ed è una presenza fissa delle competizioni europee. Ma è sempre Milan-Napoli e, come direbbe De Gregori, la storia non si può cambiare, perciò una vittoria a San Siro non può essere accolta con le pur legittime preoccupazioni per gli errori commessi e la sofferenza patita in alcune fasi della ripresa.

In medio stat virtus, l’esaltazione è un meccanismo frivolo e pericoloso se non è accompagnato dalla consapevolezza del percorso che si sta realizzando. Vincere a San Siro contro il Milan che ha più volte rovinato i piani della Juventus in questa stagione è un segnale di crescita. Ha ragione Maurizio Sarri, quando racconta che per battere le grandi squadre prima il Napoli avrebbe dovuto “tritarle” mentre sabato sera è riuscito a superare anche le difficoltà, ad andare in apnea nei momenti di maggiore pressione rossonera, ad usare sia la sciabola che il fioretto a seconda delle necessità.

Tutto vero ma c’è poi da considerare l’altra faccia della medaglia, le squadre di grande livello, abituate a lottare per i successi, non regalano al Milan la possibilità di rientrare in partita in modo così goffo. Il Napoli talvolta soffre delle esasperazioni della filosofia che ha reso splendido il suo gioco: l’inizio azione sviluppato nel corto che fa uscire gli avversari, apre gli spazi per sprigionare poi la qualità degli interpreti in attacco.

L’impostazione con cui si è disputata la prima mezz’ora al “Meazza” rispondeva a questa logica, una sapiente ed organizzata costruzione della ripartenza con Mertens protagonista di movimenti che hanno ricordato quelli del Pocho versione centravanti in alcune gare dell’epoca di Mazzarri. Il gol di Callejon mi ha riportato alla mente il taglio di Lavezzi sulla rete di Campagnaro in Milan-Napoli 1-1 del 2010, quando il Napoli nei primi venti minuti mandò in tilt Ronaldinho e compagni.

La grande squadra fa della filosofia di gioco uno strumento, non un dogma da perseguire a tutti i costi; non bisogna per forza uscire palla al piede in maniera pulita, se c’è bisogno di mandare qualche pallone in tribuna lo si faccia con serenità. Il processo di crescita passa per l’esperienza degli interpreti che devono essere bravi nel saper distinguere ciò che chiede Sarri in allenamento dalla lettura della complessità della partita.

Non è un caso che l’errore per il gol di Kucka sia stato commesso da Tonelli e Jorginho, due giocatori poco abituati alle pressioni di chi deve puntare in ogni gara alla vittoria.

Il successo a San Siro è un punto di partenza, non d’arrivo, il processo per la costruzione di una mentalità da grande squadra è ancora “work in progress”. Il Napoli è rinato nelle difficoltà quando, dopo l’infortunio di Milik, Sarri ha deciso di insistere sulla propria filosofia di gioco puntando su Mertens e non su Gabbiadini. Nell’immediato c’è stato l’Ottobre nero, con solo due successi contro Crotone ed Empoli ed un pareggio contro la Lazio in sei partite ma sulla prospettiva, complice anche il ritorno al gol e alla serenità di Insigne dopo la doppietta di Udine, si sono ritrovati tutti i meccanismi che consentono al Napoli di avere il migliore attacco con 47 gol pur giocando da diciannove partite senza un centravanti di ruolo. Nel reparto offensivo ora c’è abbondanza, s’avvicina anche il rientro di Milik, la crescita della mentalità passa anche per la variabilità delle idee di gioco e in quest’aspetto tocca a Sarri fare un passo in avanti. Pavoletti ha bisogno di giocare, Mertens a Milano ha speso tantissimo, la gara contro la Fiorentina è l’occasione perfetta per il debutto dal primo minuto dell’ex Genoa o almeno per concedergli un ampio spezzone a gara in corso.

Ciro Troise

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