Che serata strana quella di sabato scorso. Che tristezza vincere e non poter gioire serenamente, trionfare e non poter festeggiare fino in fondo. E’ il destino del Napoli per una finale di Tim Cup che in campo ha regalato un ottimo spettacolo con due squadre che fanno calcio propositivo ma che ha riaperto le ferite di un Paese in affanno su ogni aspetto. Il pallone per le istituzioni italiane è “panem et circences” nell’ordinarietà ma nella straordinarietà dei momenti drammatici come quelli di sabato coinvolge la sfera politica, economica, l’immagine del Paese e soprattutto l’ordine pubblico e la vita delle persone. E’ bello vivere una finale, farlo a Roma dalla vigilia, ti immette nelle emozioni della vigilia e dell’evento. Sabato camminavo per la Capitale, i pensieri erano tutti concentrati sui ricordi della splendida vittoria del 2012 e sull’entusiasmo per una Coppa che poteva tornare ad essere del Napoli. Non mi sarei aspettato la barbarie avvenuta poco dopo, con i colpi di pistola e un ragazzo mandato a combattere tra la vita e la morte piuttosto che godersi il suo Napoli. E’ difficile da accettare, da spiegare a chi segue dall’estero questo Paese delle emergenze e che è caduto nel luogo comune dello “sputtaNapoli” a tutti i costi, della demagogia sugli ultras, delle trattative con lo Stato e dei paroloni che servono solo a creare confusione. Il disordine serve a non far capire, a spostare l’attenzione dalla lezione di Roma.
Le domande sono tante: era una follia che si poteva evitare? Perché il rischio infiltrazione di ultras romanisti o laziali non è stato trattato con la stessa ansia di due anni fa? E’ vero che i soccorsi sono arrivati dopo un’ora e mezza? Se si, perché? Perché i tifosi napoletani erano liberi di andare da Tor di Quinto allo stadio a piedi senza navette e un servizio d’ordine adeguato?
Nessuno risponde in maniera dettagliata, si preferisce appellarsi all’imprevedibile follia dei colpi di pistola in luogo aperto oppure cimentarsi nella demonizzazione della città di Napoli o nell’assalto mediatico a “Genny a carogn”, il capo-ultrà della tifoseria azzurra a colloquio con Hamsik e i dirigenti del Napoli prima dell’inizio della finale di sabato sera.
Lo spettacolo è andato avanti anche per i profondi rischi di ordine pubblico in caso di annullamento della gara. Anche se è difficile, bisogna parlare di calcio. Se lo merita il Napoli che ha vinto la Coppa Italia battendo per 3-1 la Fiorentina. In campo le due squadre hanno offerto uno spettacolo godibile, facendo calcio propositivo, senza limitarsi ad aspettare l’avversario ma provando a costruire gioco con ritmi alti e intensità. Il Napoli ha vinto la gara in virtù di un approccio favoloso, nei primi venti minuti ha surclassato la formazione di Montella proprio come nella gara del San Paolo, dove però non era arrivato il gol.
Nella ripresa gli azzurri hanno saputo soffrire, difendersi, coprire gli spazi, essere equilibrati, stringere le maglie quando è arrivata l’inferiorità numerica mentre la Fiorentina premeva sull’acceleratore alla ricerca di un pareggio sfiorato con Ilicic, dopo che, però, Pandev aveva avuto il pallone per chiuderla prima della rete di Mertens.
E’ stata la serata delle risposte importanti, quella di Insigne che, oltre ai due gol, è stato tra i migliori in campo, com’è avvenuto spesso in questa stagione. Ha dato, oltre che un messaggio a Prandelli, due calci alle critiche esagerate, ossessive da parte di un ambiente che dovrebbe considerare con maggiore attenzione il particolare lavoro nelle due fasi che svolge il talento di Frattamaggiore. Non sarebbe il suo ruolo e lo sta dicendo da settimane. E’ arrivata anche la risposta di Benitez, bravo a tenere sulla corda il gruppo nonostante gli obiettivi Europa League e secondo posto fossero sfumati.
La squadra è giunta alla finale con grande carica e in crescita sotto il profilo mentale e atletico. Il Napoli è in salute a fine stagione, non ha quindi pagato i presunti limiti della preparazione atletica ma una rosa non sufficientemente ampia e di qualità per sposare le idee di Benitez. Nelle competizioni brevi, come la Coppa Italia e lo sfortunato girone di Champions League, il gioco e il valore di un organico forte ma incompleto sono bastati per ben figurare e vincere nel caso del torneo nazionale.
Il Napoli ha sofferto a reggere più fronti nel lungo periodo, per farlo servono gli organici ampi, con alternative di gioco importanti. Era una stagione di transizione e va bene così ma sarebbe delittuoso non accompagnare le idee di Rafa fino in fondo, far crescere la società, prendere decisioni importanti su stadio, settore giovanile e strutture, costruire un organico all’altezza degli impegni del Napoli e della filosofia di gioco del suo allenatore di spessore internazionale. La Coppa Italia 2013-14 così potrebbe diventare l’inizio di un ciclo e non un importante trofeo gustato a metà per una follia che ha scosso uno splendido successo azzurro all’Olimpico.
Ciro Troise
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