Siamo a fine giugno, il calciomercato entra nel vivo, a breve sarà tempo di ritiri. I calciatori torneranno a sudare, a cimentarsi nella preparazione atletica per essere all’altezza degli impegni stagionali dal punto di vista fisico. La giostra tornerà a girare, in pochi ricorderanno dei disastri che hanno accompagnato questa stagione. Partiamo dagli ultimi tre scandali che hanno mostrato con situazioni diverse che il sistema calcio fa acqua da tutte le parti: il caso Parma, Dirty Soccer che s’aggiunge al già ampio materiale sul calcioscommesse e l’inchiesta “Treni del gol” che ha coinvolto principalmente il Catania e che oggi si è arricchita delle confessioni del presidente Pulvirenti.
Il calcio è un settore produttivo di un Paese malato, afflitto dalla piaga della corruzione e incapace da molti anni di avere uno slancio, un piano di sviluppo, un serio progetto economico che non sia la sopravvivenza o il benessere di pochi. Non si può chiedere al pallone di risolvere i problemi sociali e culturali dell’Italia ma una delle più importanti industrie del Paese al giro di boa di un’altra stagione non può raccogliere gli scandali avvenuti come se fossero normali pagine di storia. Bisogna fermarsi, riflettere un attimo e iniziare la nuova annata con le garanzie verso chi mantiene ancora a galla un sistema complessivamente in difficoltà: i tifosi. E’ la passione di chi sacrifica il proprio denaro per abbonarsi alla pay-tv, di coloro i quali nonostante i problemi più disparati non abbandonano per nessun motivo l’abitudine di andare allo stadio per sostenere la propria squadra del cuore che fa in modo che i diritti televisivi siano così remunerativi e le sponsorizzazioni così importanti. Sono le emozioni che garantisce questo sport ad animare le plusvalenze dei club, gli introiti dei presidenti, gli ingaggi dei calciatori o le commissioni dei procuratori.
Le leghe possono vantare il più alto grado di autonomia che vogliono ma la verità è che va salvato un sistema se non si vuole sprofondare nel baratro. Bisogna affrontare in modo serio la tematica delle scommesse, studiare dei meccanismi che garantiscano la salute finanziaria delle società (non può bastare solo la fidejussione per iscriversi al campionato), porsi il problema delle categorie minori, indagare sulla gestione dei vivai in tante realtà dal punto di vista tecnico ed economico (ci sono i rami d’azienda separati, i club che chiedono ai genitori di sostenere le spese del convitto dei propri figli e tanti atteggiamenti superficiali e sprovveduti), affrontare Sponsoropoli. Senza false ipocrisie, le istituzioni del calcio e non solo devono strutturare una serie di priorità da affrontare per salvare il mondo del pallone che altrimenti è destinato al baratro nel corso di qualche anno. La passione è cieca fino ad un certo punto, senza le garanzie per la regolarità dei campionati il trasporto emotivo si raffredderà, la gente s’allontanerà come in parte è già avvenuto, basta vedere il calo complessivo riguardo alle presenze negli stadi.
Il calcio da solo non ce la fa, c’è bisogno della politica che, invece, finora ha usato il pallone per creare consenso ma è sempre scappata quando c’è da risolvere i problemi: dalla violenza negli stadi alle scommesse, dal doping amministrativo a Sponsoropoli.
Il primo passo è fare giustizia: chi sbaglia deve pagare, la certezza della pena rappresenta il principale deterrente per evitare illeciti futuri. Tutto ciò, però, ovviamente non basta, serve l’impegno a costruire un sistema più sano e pulito. Bisogna ridurre le squadre professionistiche, vietare le scommesse su mondi incontrollabili come la Lega Pro e la Serie D, imporre dei parametri rigidi sulla cura dei settori giovanili. Gli organi di controllo devono controllare i bilanci prima dell’iscrizione al campionato e le società che non trasmettono certezze devono essere fermate fino a quando non mettono tutto a posto.
E’ necessario poi cambiare il mondo del calcio in modo concreto partendo dalle fonti d’introito. Il ricorso esclusivo ai diritti televisivi ha creato un mondo in cui le sperequazioni sono enormi, dove le categorie senza i grandi network soffrono tanto. E’ il momento che tutte le società abbiano il coraggio di sviluppare politiche di marketing e merchandising innovative, che ci sia un piano generale di sviluppo dalle infrastrutture sportive che coinvolga gli stadi e i centri d’allenamento. Non c’è più il tempo per aspettare, o si cambia o si sprofonda. Il calcio italiano, se vuole salvarsi, deve farsi promotore di una rivoluzione che non può sviluppare da solo. Le società da sole, pur volendo, non possono farcela, serve la guida seria di istituzioni sportive e politiche. Il pallone non può servire solo come macchina del consenso, è giunta l’ora che lo capiscano tutti. Fra poco la giostra tornerà a girare ma chi garantisce che sarà tutto regolare?
Ciro Troise
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