“E’ l’imprevedibilità del pallone e bisogna saper accettare la sconfitta perchè è proprio da queste partite giocate con furore e determinazione che si costruisce la forza interiore su cui edificare i successi del futuro”, così commentava il sito ufficiale del Napoli ieri sera la sconfitta interna contro la Lazio costata la qualificazione ai preliminari di Champions League. E’ vero, le sconfitte possono essere formative, rappresentano anche la base per costruire le vittorie negli anni successivi ma bisogna innanzitutto ammetterle, poi saperle leggere ed interpretare. Nella conferenza stampa di giovedì scorso il presidente Aurelio De Laurentiis non solo non l’ha ammessa ma ha anche continuato con lo stesso copione utilizzato finora vantandosi dei passi in avanti compiuti nel ranking e nella classifica dell’Iffhs. Non era pienamente convinto di ciò che diceva, leggeva degli appunti scritti frenando il vulcano che contraddistingue le sue orazioni. De Laurentiis sa benissimo che quest’annata non ha dato i risultati attesi, che il lavoro compiuto nella scorsa stagione doveva esprimere ben altro e che non basta la Supercoppa vinta a Doha per far finta di non vedere le difficoltà patite. La sconfitta di ieri sera poi ha cancellato anche le residue speranze di andare in Champions League dando al Napoli un misero quinto posto alle spalle di realtà come Lazio e Fiorentina che esprimono un fatturato e un monte ingaggi inferiore al club di De Laurentiis.
Il Napoli di Benitez alla prima stagione era una realtà in crescita, aveva dato risultati come la vittoria della Coppa Italia ma soprattutto aveva dimostrato di essere in grado di competere su più fronti mostrando una buona qualità di gioco. Nulla di tutto ciò si è visto nella seconda annata: il Napoli ha giocato poche gare ad alti livelli, ha fallito il sogno della finale di Europa League perdendo contro il Dnipro che ha un organico di un valore complessivo tre volte inferiore al Napoli e soprattutto per la seconda volta consecutiva non si è qualificato alla Champions League. L’accesso alla principale competizione europea per club è la prioritaria fonte d’introiti per il Napoli, società che non ha costruito altre strade con cui implementare la propria crescita.
E’ troppo comodo prendersela solo con Benitez, come stanno facendo in tanti condizionati dal populismo dilagante che ha accompagnato parecchi a Napoli. Il fallimento di quest’annata rappresenta il tonfo di una filosofia societaria. Benitez ha dovuto lavorare con una rosa indebolita rispetto all’annata precedente e con tanti giocatori spenti dalla consapevolezza di far parte di un club che nel momento decisivo del biennio di Rafa si è scontrato con i suoi limiti in sede di campagna acquisti.
Benitez, consapevole da mesi di dover andare via a fine stagione, ha provato a contenere i danni di questa perdita d’entusiasmo, il suo più grande errore è non esserci riuscito. Dalla rabbia mostrata nel post-partita di Torino-Napoli del 1 Marzo scorso, Rafa ha perso la fiducia di uno spogliatoio dove già non regnava l’armonia e i risultati sono stati molto altalenanti, l’unica striscia positiva è arrivata ad Aprile sull’onda di un ritiro che nel breve termine ha stuzzicato l’orgoglio dei calciatori ma sul lungo periodo si è rivelato inefficace perché ha acuito i conflitti interni nello spogliatoio. “Se ad Aprile semini, a Maggio raccogli”, diceva Rafa in una delle sue massime che, però, si è rivelata non veritiera nell’esperienza di questa stagione. Il Napoli ad Aprile dopo i due ko contro Roma e Lazio ha battuto Fiorentina, Cagliari e Sampdoria in campionato e superato il Wolsfburg in Europa League. A Maggio, però, è stato compiuto un disastro: il Napoli ha battuto solo Milan e Cesena in casa, ha rimediato tre sconfitte ed un pareggio in trasferta tra campionato ed Europa League. Tante le prestazioni deludenti, con pochi frangenti di gara ad alta intensità che sarebbero bastati nelle sfide decisive se Higuain non avesse fallito tante occasioni. Vale, però, lo stesso discorso utilizzato per Benitez: è troppo comodo individuare un solo colpevole. Quest’annata può essere una lezione per De Laurentiis che, invece, sembra non voler trasformare la struttura societaria.
La Juventus dovrebbe rappresentare un esempio, in estate è andato via Conte ma nessuno dalle parti di Vinovo è andato in panico perché Marotta e Paratici hanno le idee chiare, pieni poteri e hanno impostato il cambiamento. Gli allenatori cambiano, ciò che conta è la programmazione e la impostano i dirigenti se hanno autonomia e responsabilità chiare. L’uomo solo al comando è un modello fallimentare, lo dimostra il buio di questi giorni. Il Napoli sta perdendo un’altra occasione per dotarsi di un direttore generale che abbia spessore nei confronti di tutti: allenatore, calciatore e stampa. Si va verso la soluzione interna con Maurizio Micheli e Leonardo Mantovani a formare la direzione sportiva, una scelta che esprime l’intenzione di continuare nella direzione di ciò che si è visto finora: il dominio assoluto dell’uomo solo al comando. La trattativa con Sean Sogliano ha registrato una frenata sul numero di collaboratori da portare a Castelvolturno, così ha preso corpo sempre di più la soluzione interna.
Le responsabilità saranno assegnate sempre all’allenatore, nasce così l’idea Unai Emery che, rappresentato da Jorge Mendes, vorrà avere carta bianca sul mercato. L’ipotesi che porta all’allenatore del Siviglia che ha vinto due volte consecutive l’Europa League è stata approfondita nel colloquio del 6 Maggio scorso con Manuel Garcia Quilon all’Hotel Vesuvio. Affidarsi nuovamente ad un allenatore con un profilo importante non basta, serve ben altro: bisogna ripartire da tasselli solidi di un progetto nuovo e chiaro. E’ necessario dotarsi di un direttore generale autorevole, una diversa organizzazione del club, investire sullo stadio, sviluppare progetti particolari per aumentare le entrate del club e dare più fiducia al settore giovanile (non con le chiacchiere ma con i fatti, la storia di Armando Izzo, inserito anche tra i ventisette preconvocati di Di Biagio per l’Europeo Under 21 lo dimostra). La scelta sull’allenatore è importante ma non è assolutamente l’unica cosa che conta.
Ciro Troise
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