La Campania è il Sudamerica d’Italia, la nostra regione è fertile di giovani talenti, da anni è una delle terre più rappresentate se si fa uno studio sulle origini dei calciatori che formano gli organici di A, B e Lega Pro. La Campania Felix, però, sta assumendo sempre di più le sembianze dei paesi più poveri del Sudamerica anche sotto altri aspetti. Il calcio nelle nostre zone ha sempre avuto un significato particolare rispetto ad altri luoghi: il rapporto con il pallone è totalizzante, tanta letteratura si è soffermata sul giocare per strada, caratteristica che ci rimanda proprio al Brasile, all’Argentina e ad altri paesi del Sudamerica. La disoccupazione giovanile, la questione meridionale, il “deserto sociale” di opportunità e di possibilità di carriera ha storicamente fatto in modo che il calcio spesso rappresentasse una speranza di riscatto, la risorsa in cui credere per un futuro migliore.
Si trattava, però, di sogni genuini, condivisi respirando l’odore dell’asfalto con i propri amici, aspirazioni coltivate per la pura passione verso il gioco del calcio e magari una sorta di giovanile avversione verso lo studio e l’istruzione. Oggi, invece, assistiamo alla professionalizzazione di quel meccanismo culturale distorto, con procuratori, osservatori, operatori di mercato, scuole calcio e soprattutto genitori che alimentano queste aspettative o in alcuni casi addirittura le costruiscono appena notano un pizzico di talento nei ragazzi.
I social network e soprattutto Facebook amplificano questa tendenza con i profili trasformati in una sorta di presentazione delle proprie abilità condita da goffe autocelebrazioni in pieno stile pubblicitario, come se ci fosse un prodotto da mettere sul mercato sperando che il miglior offerente (procuratore, altra società o qualsiasi addetto ai lavori) sia pronto a valorizzarlo. E i valori dello sport? La passione per il calcio, la voglia di divertirsi inseguendo un pallone? Dovrebbero essere la priorità assoluta per chi si tuffa nell’avventura di un percorso di crescita vissuto nei settori giovanili e, invece, vanno in secondo piano al cospetto delle aspettative dei genitori e dell’ambiente esterno.
Negli anni ’60, 70’ 80’ nell’Italia della ripresa economica ogni genitore voleva il figlio dottore, nell’epoca contemporanea, che presenta una profonda crisi, i papà vogliono il figlio calciatore. II fenomeno coinvolge l’intera nazione ma in Campania e a Napoli, come anche in altre situazioni, certe tendenze assumono un impatto dirompente con una ricaduta sociale e culturale enorme. In questa regione abbiamo visto di tutto: raduni organizzati di mattina per ragazzini che in quegli orari dovrebbero andare a scuola, generazioni di giovani calciatori aggrappati al calcio anche senza essere riusciti ad entrare tra i professionisti, che affidano la propria vita agli stipendi guadagnati nelle precarie categorie dilettantistiche.
Nel Sudamerica d’Italia il calcio giovanile ha assorbito spinte competitive, una sorta di guerra dei poveri che destabilizza solo gli ambienti. Quante volte abbiamo ascoltato i genitori parlar male o addirittura inveire contro giovanissimi compagni o avversari, mettendo spesso i figli l’uno contro l’altro per l’idea che il proprio ragazzino sia il migliore, quello che deve giocare a tutti i costi, colui che deve primeggiare anche se magari l’allenatore, la società d’appartenenza compie altre scelte.
Questa vicenda ricorda la storia di Icaro: il giovane Dedalo, per consentire al figliolo Icaro di vivere una vita normale fuori dal labirinto che il padre aveva costruito, da grande creatore realizzò un meccanismo di ali in legno legate con la cera che gli permisero di volare via, avvertendolo però da buon padre di non avvicinarsi troppo al sole.
Il consiglio non fu seguito, Icaro, sedotto dalla bellezza del sole, si avventurò sempre più vicino a questa sfera incandescente che alla fine sciolse la cera che teneva le ali, finendo per precipitare morente in mare. Portando il mito di Icaro nei giorni nostri, possiamo dire che esiste un ribaltamento dei ruoli, con i genitori che consigliano ai figli di avvicinarsi al sole senza considerare che magari spesso l’attrezzatura a loro disposizione non è più efficiente di quella del giovane Icaro. Le sue ali non sono spinte dalla voglia di raggiungere il sole ma da quella di dimostrare a chi dalla terra soffia che non ha disatteso le aspettative poste da altri in lui. Ci sono tanti giovani Icaro sui campi delle scuole calcio e dei settori giovanili professionisti, il cui percorso di crescita è spesso frenato dalla voglia di strafare, dall’ansia da prestazione, dallo stress emotivo e mentale che l’ambiente esterno pone nei loro confronti. “Il calcio è certezza di pochi e illusione di tanti”, è questa una frase che è spesso pronunciata dalla vecchia guardia degli addetti ai lavori, di coloro che hanno visti tanti giovani talenti coltivare illusioni eccessive pronte a trasformarsi in cocenti delusioni. Questo concetto dovrebbe diventare un manifesto da esporre all’ingresso di ogni centro sportivo in cui giocano dei ragazzi per ricordare soprattutto a genitori e “accompagnatori dell’era moderna” che la priorità non è diventare calciatori, aspirare a contratti, milioni di euro ma formarsi soprattutto come uomini, impegnarsi nel percorso scolastico, accrescere il proprio background culturale e crescere divertendosi, con leggerezza e serenità. Il calcio può essere uno strumento per imparare il concetto di gruppo, il rispetto per il compagno e l’avversario, la lealtà, l’educazione nei confronti degli allenatori, dei dirigenti e di tutti coloro che in virtù della propria esperienza possono essere d’aiuto alla crescita dei ragazzi, trasmettere il concetto di responsabilità, una risorsa rara nell’educazione della società contemporanea. Non è trasmesso il valore dell’autocritica, la capacità di capire ed ammettere i propri errori, una sconfitta è vista sempre come responsabilità di qualcun altro: del compagno, dell’allenatore, della società o di qualsiasi assurda macchinazione che trama alle spalle del giovane talento che non ce l’ha fatta.
La buona educazione, l’equilibrio sociale e psicologico, la disciplina, il rispetto degli altri, la determinazione, la fame, la correttezza rappresentano i valori più importanti da imporre nei vivai. Contano più di tutto, della tecnica, della crescita tattica, dello scouting, dell’organizzazione, di qualsiasi altra cosa; la priorità è la formazione del proprio ragazzo, sperando che la “fenomenite” dilagante non produca una generazione di Icaro che insegue la fabbrica dei sogni e delle illusioni.
Ciro Troise
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