Mourinho l’ha definita la buona stella. Nel calcio esiste, è indubbio negarlo. Per tradurla in esempi, l’anticipo di Kim su Meret magari nella scorsa stagione avrebbe generato un’autorete, stavolta è finita a lato con un sospiro di sollievo. Ridurre quanto sta facendo il Napoli soltanto alla legge del “palo dentro palo fuori” sarebbe ingiusto. La vittoria contro la migliore Roma stagionale (nel secondo tempo forse anche dell’era Mourinho) è un premio per una mentalità, un’idea di calcio che in Italia non ha eguali, di stampo europeo come dimostra il percorso entusiasmante nel girone di Champions League.
L’Arsenal capolista in Premier League è un’altra cartina da tornasole del calcio che gira nella direzione di coloro che propongono, innovano, alzano il livello di quanto viene proposto nel calcio. Il Napoli deve rimanere fedele alla sua identità, non pensare al vantaggio in classifica, affrontare ogni partita per vincerla. Nessuno ha cultura della vittoria in casa azzurra, la forza è la spensieratezza, la leggerezza che deve rimanere intatta considerando il sogno ancora un premio da prendersi. Quando ha provato a gestire la partita, è scivolato in Coppa Italia contro la Cremonese subendo il gol del pareggio e perdendo poi ai rigori.
Il Cholito Simeone è il volto-copertina di questa mentalità che raccontò in una frase nell’intervista post-partita allo Zini di Cremona: “Non è la quantità ma la qualità del tempo a disposizione che fa la differenza”.
Otto gol, uno ogni 65 minuti, a segno in tutte le competizioni e in campionato le reti sono pesanti, hanno determinato sei punti tra Milano, Cremona e la sfida di ieri contro la Roma. Il Cholito è l’uomo che tira fuori il Napoli dalla sofferenza perché non solo ha le qualità da centravanti, il senso della porta ma per la sua attitudine mentale a godersi al massimo l’opportunità che la vita gli mette davanti. È un patrimonio di famiglia ma lui ha saputo valorizzarlo con l’attesa che qualcuno notasse le sue capacità, le quattro stagioni in doppia cifra su sei campionati di serie A prima di venire a Napoli. Aveva due etichette: figlio di papà e bomber di provincia, come se fare per esempio 17 gol nel Verona di Juric senza calciare i rigori fosse roba da poco, non sufficiente per fare il salto in una big. Ha aspettato, dimostrato e la vita l’ha premiato regalandogli il posto migliore: Napoli per un argentino, lo stadio con il nome di Maradona che è stato compagno di squadra del papà (il Cholo ha indossato anche la 10 dell’Argentina nella Coppa America del 1993) e l’annata magica con quel sogno atteso 33 anni che può diventare realtà.
La panchina ha determinato 10 punti con i gol, la differenza è nella profondità della rosa
La differenza con le altre è anche nella profondità della rosa e nella capacità di Spalletti di valorizzarla perché Simeone è il volto-copertina di una squadra che è tutta sul pezzo. Basta notare l’impatto sulla partita, l’adrenalina anche degli altri subentranti di ieri: Elmas, Olivera e Raspadori su tutti. I cinque cambi hanno aggiunto anche freschezza, forza, hanno spinto il Napoli a non accontentarsi, a provarci anche per tenere lontano dalla propria porta un avversario che ha qualità in vari interpreti.
È un salto in avanti pazzesco rispetto anche alla squadra della scorsa stagione a cui è mancato lo slancio negli scontri diretti in casa contro Inter e Milan. Il Napoli ha segnato 16 gol dalla panchina, 11 soltanto in campionato, in cui le reti dei subentranti hanno prodotto dieci punti, incidendo direttamente sulle vittorie contro Milan, Cremonese, Bologna, Empoli e Roma.
“Devono avere ben chiara l’occasione che hanno, se loro mettono a fuoco quest’occasione non c’è nulla che può mettere loro pressione”, queste parole di Spalletti rivelano lo sguardo giusto sui prossimi mesi.
Ciro Troise
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