Un solo gol subito in tre partite, dieci quelli segnati, gli stessi che il Napoli aveva segnato in undici gare tra campionato, Coppa Italia ed Europa League nella striscia di risultati che va da Palermo all’eliminazione rimediata contro la Lazio. La svolta è complessiva, riguarda entrambe le fasi, il Napoli contro Fiorentina, Wolfsburg e Cagliari ha subito solo un gol per un evidente eccesso di relax sullo 0-4 contro i tedeschi mentre nel ciclo della crisi ne erano stati subiti ben tredici in undici partite.
La svolta è complessiva, riguarda entrambe le fasi, il Napoli è concentrato, cinico, equilibrato, letale in fase offensiva e meno distratto in quella di copertura. L’equazione ritiro=”resurrezione” del Napoli è fuorviante, parziale, riduttiva, rientra nella logica malsana di un ambiente in cui bisogna schierarsi con l’allenatore o con il presidente, come se il compito della critica non fosse analizzare le partite con serenità ma riproporre il dualismo interno al club. E’ la stessa schizofrenia che ha indotto molti a definire Hamsik un giocatore bollito, finito, inutile, distrutto da Benitez quando poi basterebbe guardare i dati: undici gol e dodici assist stagionali a metà aprile, volando verso i record delle stagioni 2011-12 e 2012-13. Il ritiro, molto flessibile nelle sue modalità (interrotto e ripristinato già in due occasioni) è il punto di partenza, nessuno può negare che dalle tensioni dopo la sconfitta interna contro la Lazio la squadra è scesa in campo con maggiore concentrazione, cattiveria agonistica, unità d’intenti, tutti i protagonisti sembrano aver capito che gli obiettivi della squadra hanno priorità assoluta. Se la squadra, però, non è sul pezzo e l’allenatore non ha la capacità di mediazione di trasformare i conflitti non in guerre intestine ma in motivazioni per gli impegni successivi, non c’è ritiro che possa essere utile.
Il Napoli, pur non esprimendo prestazioni di grande spessore, meritava di più contro Atalanta, Roma e Lazio e nel mese e mezzo della crisi di risultati, ha espresso prove insufficienti solo a Palermo e Verona. La squadra era in forma, non ha mai concesso all’avversario il dominio del gioco, faceva fatica ad avere intensità, ha pagato spesso gli errori individuali sia difensivi che sotto porta, l’intervento di De Laurentiis non colpiva un gruppo alla deriva. Poi c’è la fiducia, l’abitudine a vincere o a perdere che nel calcio ha più valore di tante alchimie tattiche che affollano i dibattiti televisivi. Basta vedere la storia del Napoli di questa stagione caratterizzato da momenti-chiave che hanno guidato nel bene e nel male dei trend nelle prestazioni e nei risultati: il disastro di Bilbao ha prodotto un pessimo inizio di campionato, il trionfo di Doha, invece, ha generato la sequenza d’ottimi risultati del principio del 2015 e le vittorie contro Fiorentina e Wolfsburg possono rappresentare la base della svolta decisiva, che può rendere la stagione straordinaria. I successi inaspettati trasmettono ancora più carica e convinzione nei propri mezzi, si è verificato questo processo psicologico dopo la Supercoppa e si sta innescando lo stesso meccanismo con la goleada di Germania che neanche il più ottimista tra i tifosi azzurri avrebbe pronosticato. La “buccia di banana” è dietro l’angolo, non bisogna mai staccare le mani dal manubrio, anche ieri si è permesso al Cagliari di avere subito l’occasione per arrivare al pareggio con Mpoku fermato in extremis da Callejon. Fino all’autogol di Balzano i rossoblù sono stati in partita e davano l’impressione di poter far male ogni volta che si presentavano dalle parti di Albiol e Koulibaly. L’ingenuità di Maggio dimostra proprio che il limite di questo gruppo è soprattutto nella testa, nella capacità di gestire i momenti delle partite, di non farsi travolgere dalle situazioni di gioco. Tra le cause della “resurrezione azzurra” c’è anche il recupero di tre calciatori di grande rilevanza nell’economia tattica del Napoli: Lorenzo Insigne, capace di dare equilibrio con il suo spirito di sacrificio, di fornire tanti assist ai compagni e di essere pericoloso in zona-gol, Walter Gargano, fondamentale mediano dinamico e molto prezioso nella fase di recupero palla e Ivan Strinic, alternativa importante a Ghoulam sulla corsia sinistra, meno bravo nei compiti di spinta ma più attento in copertura. Quando non si ha a disposizione un organico di spessore come quello della Juventus e bisogna affrontare cinque fronti (Champions League, campionato, Supercoppa Italiana, Europa League e Coppa Italia) in una stagione, ogni assenza può diventare pesante e i cali d’intensità mentale e atletica sono da mettere in conto, basta vedere anche le difficoltà della Fiorentina dell’ottimo Montella. Il Napoli ha già disputato quarantasette partite ufficiali dal 19 Agosto ad oggi e potrebbe giocarne almeno altre dieci: le sette che mancano in campionato, il ritorno contro il Wolfsburg e le probabile due sfide della semifinale d’Europa League. Lo dicevamo nelle situazioni più difficili, non è ancora finita: la qualificazione in Champions League è l’obiettivo aziendale da non fallire, ma arrivando a Varsavia la stagione potrebbe diventare straordinaria. E’ un finale tutto da vivere, del resto Benitez l’aveva detto: “Se ad Aprile semini, a Maggio raccogli”.
Ciro Troise
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