Errare è umano, perseverare è diabolico. Il Napoli sembra aver dimenticato quest’antica espressione che sembra essere attribuita a Sant’Agostino. A Parma il Napoli ha ripetuto gli stessi errori visti in altre gare: approccio molle, da sagrato parrocchiale, con la supponenza di chi pensa di passeggiare su un avversario retrocesso da cinque giornate ed espressione di una società fallita da mesi. Nel calcio non funziona così, soprattutto in Italia, la sorpresa è dietro l’angolo e se non si sta sul pezzo tutta la gara con intensità e determinazione si può fare brutta figura con chiunque. Il Napoli in Italia ha il mal di trasferta: nel 2015 sono stati conquistati fuori dal San Paolo tredici punti sui trenta disponibili, se si considera l’intero campionato il bottino esterno corrisponde a soli venticinque punti sui sessanta totalizzati, meno della metà. Analizzando le sconfitte lontano dal San Paolo, è necessario riflettere sul pessimo approccio alla gara e l’incapacità di reagire agli schiaffi subiti: è avvenuto a Palermo dopo la “papera” di Rafael, a Milano dopo la rete di Menez, a Verona dopo il gol del vantaggio di Toni, a Empoli dopo che la furia toscana si era abbattuta sulla difesa azzurra.
Il silenzio stampa toglie al Napoli la possibilità di esporre la sua versione in merito alle polemiche del Parma, siamo quindi costretti a ragionare sui fatti avvenuti solo con le versioni di Palladino, Donadoni e Mirante e due tweet non esaustivi della società di De Laurentiis. Oltre le eventuali disgustose accuse alla foga altrui, ciò che è veramente preoccupante è l’atteggiamento di questa squadra che non è in grado di mettere in campo la giusta cattiveria per dimostrare la propria superiorità sul Parma sin dal primo minuto. E’ troppo facile prendersela con il turnover: se non si possono far rifiatare Callejon e Higuain neanche contro una formazione già retrocessa, si continua a deviare dai reali problemi del Napoli. Ragionando sulla formazione di partenza, un errore commesso è stato annullare la corsia destra con Henrique e non un esterno puro come Mesto che può sovrapporsi e con Gabbiadini che si esprime meglio al centro perché non attacca mai la profondità, taglia sempre verso l’area di rigore e contribuisce poco alla fase difensiva a differenza di Callejon.
I problemi concreti sono altri, nelle ultime quattro gare il Napoli ha puntualmente sbagliato il primo tempo: è avvenuto a Empoli, contro il Milan gli azzurri non sono stati in grado di approfittare dell’inferiorità numerica dei rossoneri e hanno anche concesso una clamorosa palla-gol a Bonaventura, contro il Dnipro nel primo tempo l’unica occasione costruita corrisponde al palo di Insigne e poi c’è il disastro del Tardini. Il problema è sempre nell’intensità, ieri nove volte su quattordici Jorquera e compagni hanno superato il proprio avversario in velocità, i più quotati giocatori del Napoli solo sei volte su ventuno. Se la testa in campo la colleghi al corpo solamente nella ripresa, non è detto che nel poco tempo a disposizione si riesce a portare a casa la vittoria. Gli ostacoli possono essere tanti: le autoreti di difensori distratti, le parate di Bojko o Mirante, gli errori arbitrali. Un tifoso che oggi non c’è più mi diceva sempre: “O Napule e Maradona ci metteva al massimo un quarto d’ora per far soccombere l’avversario”. Le grandi squadre fanno così, basta vedere la Juventus.
Il Napoli non lo è, basta leggere l’organico indebolito durante il mercato estivo. Benitez si è scontrato con i limiti del Napoli in sede di mercato ma anche lui ha delle responsabilità nella conduzione della campagna acquisti. Koulibaly, De Guzman, Michu sono nomi che portano anche la sua firma e hanno reso al di sotto delle aspettative (Michu in realtà è stato arruolabile molto poco, è stata persa la scommessa sul suo recupero a livello fisico), è ben diversa, invece, l’avventata scommessa sui portieri è da attribuire solo alla società, Benitez avrebbe tenuto Reina e mandato Rafael in prestito. Quest’organico è stato difeso con grande ardore da Rafa che l’ha definito più forte ed equilibrato in conferenza stampa. Il calcio è bugia ma le parole restano in archivio. Nella mediocrità del campionato italiano, il fallimento della Roma e le difficoltà della Lazio rendono il Napoli ancora padrone del proprio destino per la corsa Champions. Qualche scivolone in meno in campionato avrebbe consentito alla squadra di vivere con serenità l’avventura in Europa League. Piaccia o no, il Napoli è un’azienda e la sua mission aziendale prevede la qualificazione in Champions League. L’obiettivo è emerso in maniera chiara anche nel “sermone” di De Laurentiis contro Platini: “L’Europa League è un torneo che non vale niente, noi lo percorriamo solo come insurance per andare in Champions. Non andare avanti in Europa League mi può far male un po’ alla tasca ma l’altra fortunatamente compensa”.
Quando parlava dell’altra, probabilmente si riferiva al campionato. Il calendario difficile della Lazio, la crisi della Roma e il derby in programma alla penultima giornata consentono al Napoli di essere padrone del proprio destino e avere altre chance per garantirsi la Champions attraverso il campionato. La corsa in Europa League, unita all’impresa di Doha, possono invece rendere questa stagione addirittura storica, stupenda ma giovedì non bisognerà sbagliare. Il Dnipro giocherà per lo 0-0, probabilmente porrà metaforicamente anche il proprio bus sociale davanti alla porta sperando poi nell’errore della difesa del Napoli. Bisognerà avere pazienza in fase offensiva, giocare in ampiezza, muoversi molto senza palla, giocare tra le linee e verticalizzare in velocità per non finire sul muro ucraino, poi potrebbero essere letali gli errori individuali o di posizionamento della difesa. Considerando i quarantacinque gol subiti in campionato (diciannove a causa di errori individuali, il 40%) che rendono il Napoli l’undicesima difesa della Serie A con l’Empoli e i sessantatre incassati a livello stagionale nelle cinquantacinque gare disputate, bisognerà pretendere attenzione massima da Andujar e compagni.
Ciro Troise
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