“Per stare bene a metà tra l’emozione e la paura”, recitava una delle tante straordinarie canzoni di Pino Daniele. Sabato pomeriggio, quando il calcio è tornato con la Bundesliga, ho pensato proprio a quella canzone di Pino.
L’emozione di rivedere un gol, di soffermarsi sui principi di gioco del Borussia Dortmund, una macchina di divertimento capace di far male con la variabilità delle sue bocche di fuoco e con una ricerca frequente della verticalità, di pensare al rigore, all’espulsione, d’innamorarsi delle vecchie certezze come la qualità di Haaland, un gigante per struttura fisica, coordinazione e capacità di leggere l’attacco allo spazio. A Salisburgo dal vivo m’impressionò, ricorda Bobo Vieri. La paura che lo scheletro di folla possa essere a lungo il triste regno del calcio a porte chiuse, che la ripartenza sia condizionata dal timore dei giocatori, che non si riesca a cogliere il giusto equilibrio tra la necessità economica di ricominciare e la tutela della condizione fisica.
Il calcio ha bisogno di ripartire, capisco che sulla bilancia tra emozione e paura qualcuno possa far vincere l’ipnosi ma pensare che si possa aspettare il contagio zero, l’addio del virus, una cura o un vaccino significa anteporre un’ideologia alla realtà: svalutazione del patrimonio sportivo delle società, alcune hanno già fatturato anticipando la sesta rata delle tv e rischiano tantissimo. L’ideologia è legittima, sacrosanta ma, quando prevale sulla visione d’insieme siamo sul territorio border-line dell’integralismo, quindi un campo minato.
Perché la Bundesliga ha battuto tutti nettamente sul tempo? La Germania è la locomotiva d’Europa, nonostante la sconfitta nella seconda guerra mondiale e la convivenza con il muro di Berlino fino al 1989, ha goduto di un’economia europea a trazione tedesca e ha saputo guidarla senza smarrire la sua identità. La Germania è autonoma nella produzione di reagenti, non ha problemi sui tamponi, ha iniziato l’emergenza con 28000 posti letto in terapia intensiva (in Italia 5300) e infatti a Lipsia, Dresda, Dortmund sono stati curati anche dei pazienti italiani, ha aggiornato il piano sulle pandemie nel 2016 (l’Italia nel 2010 con un ritardo dovuto alle negligenze dell’Oms e anche di qualche componente del comitato tecnico scientifico tanto glorificato).
La Germania è solida, non si è fatta ubriacare dalla liquidità del neoliberismo, dall’idea che si possa vivere costantemente in debito per inseguire il mito della crescita a tutti i costi, quella che poi si trasforma in regresso rovinando l’ambiente e i diritti sociali. Tutto ciò si vede anche nel calcio che è profondamente intrecciato agli altri settori: il Bayern Monaco ha il bilancio in attivo da 27 anni, 28 club su 36 delle prime due divisioni tedesche hanno i conti in ordine, la Bundesliga investe 200 milioni nei vivai, ha la media spettatori più alta d’Europa. Per farla in breve, la differenza è tra chi s’indebita per il lusso di avere Cr7 e chi invece costruisce Sancho, Gnabry, Reyna e non si fa sfuggire Haaland. Mentre in Italia ci sono club sotto banco che inseguono il sogno d’incassare i soldi delle pay-tv, fermarsi e risparmiare sugli stipendi, le prime quattro della Bundesliga hanno realizzato un fondo di 20 milioni di euro per i club più piccoli in difficoltà.
Il calcio italiano è pronto a vivere un’altra settimana di passione: oggi l’incontro tra la Lega e le pay-tv, domani il vertice tra il Cts e i medici della Figc per il protocollo aggiornato che dovrebbe dare il via libera agli allenamenti collettivi, mercoledì il Consiglio Federale su temi importantissimi (licenze nazionali, decisione sulla serie C, sul blocco dei ripescaggi dalla D e riforma dei campionati) e forse anche finalmente l’incontro tra il premier Conte e i vertici del calcio italiano. Il presidente del Consiglio sa che anche il calcio può evitare un’altra spaccatura nel Governo, mercoledì c’è al Senato l’esame della mozione di sfiducia contro il ministro della Giustizia Bonafede. Altri giorni di fuoco per capire (curva dei contagi permettendo) se anche il pallone ha diritto ad una data di riferimento che ormai appartiene giustamente a tutti (palestre, piscine, centri sportivi, teatri, cinema).
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