Se dovessi descrivere lo stato emotivo di Napoli nelle ultime settimane, basterebbe fare un parallelismo con il Capodanno. Siamo alle 11 del mattino circa del 31 dicembre, la mezzanotte ancora non arriva ma tutti lavorano per renderla magica. Per un popolo che ha con il festeggiamento un rapporto profondo, quasi ossessivo, avere il tempo rispetto agli altri due scudetti precedenti di prepararsi può regalare un’atmosfera unica. Diffidate dai nostalgici che mentono anche a se stessi e dicono: “Non sarà mai come negli anni ‘80”. Sarà diversa ma forse anche più piena perché ai tempi dei social tutto arriva ovunque, annullando le distanze.
Il centro storico ha dei tratti in cui il presente si mescola con l’era Maradona, tra gli occhi curiosi dei giovani che non l’hanno mai vissuto. Chi c’era ai tempi di Diego si perde tra la malinconia per le persone più care che non ha più al suo fianco mentre accompagna gli altri al loro primo appuntamento con la Storia. Di padre in figlio, come la tradizione più popolare del pallone insegna, nella narrazione del tifo napoletano che è fatto d’appartenenza. Fa parte della cultura, dell’identità, i colori biancoazzurri sono dentro l’anima come una canzone di Pino Daniele, una battuta di Totò o Massimo Troisi citati in tanti striscioni commoventi che si possono ammirare facendosi trascinare dai vicoli, dalle strade, da questa festa work in progress. Lo scudetto da queste parti è un sogno, ci sono generazioni intere che hanno coltivato il desiderio di vivere una gioia simile a quella dei propri genitori e finalmente sembra che quel momento stia per arrivare. Tutti studiano il calendario provando ad immaginare quale sarà la data di quest’esplosione di gioia.
Il presidente De Laurentiis, il sindaco Manfredi, le istituzioni dedite all’ordine pubblico da mesi studiano il piano ideale per conciliare una gioia attesa 33 anni con la necessità di proteggere la città, le persone, evitare tensioni e danneggiamenti.
Si lavora ad un evento distribuito per i quartieri, con 15 città del mondo collegate a dieci zone della città per immergersi nella gioia più pura, quella di chi vive lontano da Napoli e sta già costruendo delle oasi azzurre in cui celebrare quel tricolore tanto atteso. Da queste parti vincere non è né l’unica cosa che conta e neanche un’abitudine, l’appartenenza al Napoli è fatta di passione nel senso più forte del termine. Chiu forte e na catena, ripercorrendo una meravigliosa canzone di Roberto Murolo.
Non è lineare, oscilla nel termometro dei sentimenti, tra il ricordo delle delusioni più intense, dallo scudetto perso nel 1988 al campionato dei 91 punti, con la ferita di Napoli-Verona da cui è ripartito Spalletti nell’indifferenza totale.
Il 2 luglio 2021 alla stazione Napoli-Afragola non c’era nessuno ad aspettarlo, soltanto un anonimo rumore dei treni mentre Spalletti guardava oltre, cantava il coro delle stagioni più esaltanti e preparava la pettorina per gli allenamenti.
Il Napoli ha un’anima diversa dalla città, non si fa travolgere dall’emotività, è un caterpillar cinico, serio, non esce dal tempo del lavoro pur guardando a festoni, striscioni, bandiere. Roba che per dirla alla Spalletti rende Napoli così bella che non si può guardare, fa venire a tutti gli occhi azzurri.
Le contraddizioni sono l’anima storica di Napoli, la rendono intrigante ed enigmatica, non mancano neanche in quest’annata magica. Mentre in città i quartieri quasi si sfidano ad inventare la decorazione e il messaggio più bello, al Maradona si fa fatica a costruire un’atmosfera bollente per le frequenti limitazioni al tifo organizzato come il divieto di introdurre bandiere, striscioni e megafoni durato due mesi dopo gli scontri di Badia al Pino Est e confermato poi nella gara contro l’Eintracht Francoforte.
Una decisione arbitraria, una mossa che non rientra nella prassi dello Stato di diritto in cui ogni azione è motivata da principi normativi di riferimento. Non c’è nessuna legge che prescrive il criterio per cui, prima di individuare le responsabilità personali dei soggetti che hanno partecipato ad alcuni scontri, si spara nel mucchio con un solo risultato: rendere lo stadio meno caloroso. Ieri al Palavesuvio per la final four di Coppa Italia di calcio a 5 è stato negato l’accesso ad uno striscione che recitava in maniera ironica e provocatoria “Brutti, sporchi e terroni”. Non è un bel presagio in vista di ciò che dovrebbe vivere il Maradona a breve.
Sta per arrivare un mese di aprile storico, tra campionato e Champions League. Regalateci un Maradona all’altezza di ciò che sta facendo il Napoli, in una città che si sta già vestendo a festa da alcune settimane e merita uno stadio pronto e adeguato alla portata storica del cammino degli azzurri. L’ha spiegato Spalletti citando Ligabue: “Il tempo passa per non ripassare più”.
Ciro Troise
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