Fuoco sull’allenatore, non si tratta di un nuovo videogame ma del gioco al massacro che ha coinvolto Rafa Benitez alla vigilia della trasferta di Roma contro la Lazio. Al fischio finale della partita di Dortmund l’inferno, il processo mediatico compiuto dagli stessi personaggi che lodavano la Rafa revolution solo poche settimane fa.
Sul banco degli imputati Rafa Benitez e tutto ciò che lo riguarda: i giorni di riposo, il modulo troppo spregiudicato, la preparazione atletica con molto lavoro con la palla e poco fondo. Alcune voci provengono dallo spogliatoio, Rafa lo sa e ha mandato un messaggio chiaro anche ieri sera nel post-partita. “Qualcuno era un po’ nervoso, ho dovuto trasmettere serenità”, le sue parole in conferenza stampa dopo la partita contro la Lazio. Le sue metodologie sono una realtà in Spagna e in Inghilterra, ma in Italia alcuni calciatori soffrono nel metabolizzarle e accettarle, da qui nasce il “chiacchiericcio” sui presunti limiti della preparazione degli azzurri. Era prevedibile che non tutto il gruppo potesse essere pienamente entusiasta della svolta realizzata da Benitez, soprattutto chi sta trovando meno spazio rispetto al passato e per caratteristiche di gioco o situazione contrattuale vive un disagio che la società doveva intuire prima. Alle prime difficoltà così tornano i sapientoni con le dichiarazioni di nostalgia per Walter Mazzarri, Edinson Cavani, il Pocho Lavezzi. La nostalgia è un esercizio inutile, da perdenti, è un sentimento che guarda al passato, che distrugge e non costruisce, soprattutto senza contenuti e spirito propositivo.
C’è qualcosa di strano nella critica sportiva napoletana, nel mirino finisce sempre l’allenatore come se una partita di calcio riguardasse solo una sfida tattica consumata sul terreno di gioco. Il Napoli subisce tre sconfitte consecutive e nell’audience della critica nessuno si fa alcune domande: La rosa è all’altezza di Benitez? Perché ogni estate si costruiscono squadre incomplete? Rafa ha avuto dalla società le strutture giuste per realizzare la sua rivoluzione?
In pochi disturbano il vero manovratore, Aurelio De Laurentiis, che da anni affida tutto nelle mani degli allenatori senza affidare loro rose complete in tutti i reparti, che è consapevole dei profondi limiti strutturali del suo club ma non si vede la strada della crescita da questo punto di vista.
L’allenatore è l’anello più debole nelle squadre di calcio e i sapientoni trovano strada più facile nel scaricare tutte le pressioni sulla guida tecnica, per non parlare dei tanti interessi e rapporti servili di varia natura che ispirano il clima tossico napoletano.
La partita contro la Lazio annulla molti “falsi problemi” creati dai soloni. Hanno tutti lo stesso vizio, pensare che il calcio sia il Subbuteo e che la chiave della vittoria sia esclusivamente nel posizionamento degli uomini in campo. Nell’analisi di una partita giocata in maniera mediocre da entrambe le squadre, bisogna distinguere un primo tempo imbarazzante da una ripresa incoraggiante. Il modulo tra la prima e la seconda frazione di gioco è lo stesso: il 4-2-3-1 ma Callejon e Insigne sono tornati ad essere gli instancabili faticatori sulle fasce, l’anima dell’equilibrio tattico che il Napoli aveva a detta di tutti fino alla sconfitta di Torino.
Il “caso Higuain” è l’immagine più evidente di una piazza in cui il termometro dei sentimenti è una variabile impazzita che riesce a stravolgere anche i dati più elementari del gioco del calcio. “El Pipita” non ha la media di Cavani ma ha segnato 10 gol in 17 presenze (solo 15 da titolare) tra campionato e Champions League e realizzato cinque assist decisivi per le reti dei compagni. Non sono medie da marziano ma sono delle ottime statistiche considerando anche la cicatrice di Madrid e i suoi postumi che l’hanno fermato in alcune gare. Higuain in campionato ha fatto gli stessi gol di Palacio e Tevez, che hanno giocato rispettivamente 187 e 147 minuti in più e che nessuno ha messo in discussione a Milano e Torino, anzi tutti lodano il loro rendimento. Tra i top player della Serie A, solo Giuseppe Rossi in stato di grazia a Firenze ha fatto meglio di lui. C’entra poco sia l’aspetto tattico che quello atletico, il Napoli deve ritrovarsi a livello psicologico, acquisendo entusiasmo, intensità, sicurezza e fiducia nei propri mezzi. Nel secondo tempo di Roma si sono visti dei progressi, nei primi quarantacinque minuti il pallone scottava, gli azzurri sembravano impauriti e bloccati. Queste sensazioni si sono palesate con ancora più forza dopo l’autogol di Behrami che sembrava presagire un’altra serata storta.
Sono tanti gli azzurri senza una grande personalità, che soffrono le pressioni; il Napoli dovrà tenerne conto soprattutto la prossima estate, quando bisognerà accelerare sul fronte del progetto Benitez. La vittoria dell’Olimpico è una grande iniezione di fiducia, bisogna ripartire da ciò anche per le prossime quattro sfide che ci saranno prima della sosta natalizia.
Sabato si ritorna al San Paolo, uno stadio che trasmette tanta carica ma anche molte pressioni. Il pallone inizialmente tornerà a scottare ma bisogna saper gestire questi momenti se si vuole essere una grande squadra. La svolta poi deve arrivare a Gennaio. Il presidente mantenga le promesse spendendo i cinquanta milioni come dichiarato e soprattutto facendolo bene, colmando le più evidenti lacune di quest’organico.
Ciro Troise
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