Era il 2004, De Laurentiis rilevava il Napoli dal fallimento. Il destino del club azzurro era sprofondato nel baratro, si ripartiva dalla serie C, il Napoli era precipitato nell’inferno del calcio, la città esprimeva entusiasmo per un’avventura che presentava ampi margini di prospettiva. Ci sono giornate che resteranno nella storia, Fuorigrotta ha regalato colpi d’occhio che altrove neanche la Champions è capace d’esprimere: penso ai play-off contro l’Avellino, all’esordio con il Cittadella, a Napoli-Vis Pesaro di mercoledì 6 Ottobre 2004, con il San Paolo pieno per gli azzurri che viaggiavano nella rimonta che poteva portare alla promozione. Il Napoli ne ha fatta tanta di strada, arrivando in Champions League e ad un passo dal salto di qualità che può portare il club di De Laurentiis in lotta per lo scudetto. “E’ stato fatto un grande lavoro ma adesso viene quello più difficile, la crescita costa”, è la sintesi di un pensiero che Benitez ha più volte espresso in conferenza stampa.
Passare dalla sorpresa che ha incantato tutti durante l’era Mazzarri ad una big del campionato che lotta tutte le stagioni su più fronti, allenata a vincere, è il difficile compito che deve affrontare il Napoli. “Dobbiamo costruire un percorso affinchè il Napoli non sia una realtà capace di vincere solo una volta ogni venticinque anni”, è un altro concetto ribadito più volte da Benitez. Il Napoli in crisi delle ultime settimane, la squadra che fa fatica da quel maledetto preliminare contro l’Athletic Bilbao è ancora dentro questo percorso? Basta una buona avventura in Europa League, il risultato storico dell’accesso ai quarti di finale per essere ancora convinti che si è sempre nel progetto, una parola che De Laurentiis ripete sin dai suoi primi giorni nel calcio italiano? La parola progetto esprime tutto e niente, è vaga, generica anche nelle descrizioni del suo significato sul vocabolario. Essa rimanda a tante interpretazioni, può rappresentare un piano di lavoro definito o un intendimento che ci si prefigge di raggiungere senza, però, una strategia concreta, definita e solida.
L’avvento di Benitez sulla panchina del Napoli aveva quell’obiettivo: liberarsi dall’etichetta d’eterna incompiuta e diventare una realtà dal profilo europeo, capace di combattere in varie competizioni. Nella scorsa stagione il piano è riuscito, il Napoli aveva le risorse per costruire una rosa valida grazie alla cessione di Cavani e alla partecipazione alla Champions League. Gli ottavi di Europa League, la vittoria della Coppa Italia, il terzo posto in campionato dietro le corazzate Juventus e Roma con il record dei punti sono i risultati di un’ottima stagione, la migliore dopo l’era Maradona. C’erano le risorse economiche, l’entusiasmo per la novità Benitez, lo “sfizio” presidenziale di dimostrare a Mazzarri che il Napoli era destinato a crescere anche senza di lui. Situazioni di passaggio, fattori temporanei, nessun elemento stabile su cui costruire un futuro diverso: stadio nuovo, più investimenti sul settore giovanile, trasformazione della struttura societaria con l’arrivo di un direttore generale di spessore o particolari iniziative per la valorizzazione del marketing del club azzurro. La musica nella sostanza è rimasta la stessa: risultati sportivi e cessioni dei giocatori sono le frontiere per alimentare il proprio progetto. Lo dimostra il mercato estivo, durante il quale, senza gli introiti provenienti dalla Uefa o da cessioni importanti, il Napoli non ha avuto la forza neanche di arrivare a buoni calciatori come Gonalons e Kramer, non solo Mascherano e Fellaini.
Così il club è appeso ad un filo, alla qualificazione alla Champions League che non può essere una certezza soprattutto se si vuole inseguire la lotta sui tre fronti quando non si ha l’organico all’altezza per farlo. Tre stagioni fa il Napoli di Mazzarri arrivava agli ottavi di finale di Champions League, vinceva la Coppa Italia ma arrivava quinto in campionato, non c’era una rosa adatta a competere su tre fronti così come non lo è quella a disposizione di Benitez nella stagione in corso. Di acqua sotto i ponti ne è passata, sono arrivati giocatori di grande respiro internazionale, l’attacco è tra i migliori della serie A ma ancora oggi ci sono carenze irrisolte a centrocampo e in difesa. Lo dimostrano i dati: il Napoli ha la dodicesima retroguardia del campionato con Inter ed Udinese, ha subito cinquantuno gol complessivi in quarantacinque partite disputate.
La Supercoppa non basta, lo sa anche Benitez che a Roma ha parlato di una stagione che può essere definita positiva con il trofeo vinto a Doha. Non è vero che il Napoli sta affrontando un momento difficile, gli azzurri non hanno mai trovato continuità, sembrano portare in campo la fragilità, lo scoramento di questa stagione fatta di pochi alti e tanti bassi. Quello è in corso è il momento più complicato ma il Napoli ha fatto fatica in più occasioni: a settembre, in seguito dello shock di Bilbao, dopo la sosta di Novembre, con i quattro pareggi consecutivi rimediati dopo la sosta. L’allenatore in scadenza di contratto, la Champions sfumata con il preliminare, la differenza tra gli annunci roboanti di Dimaro e il mercato estivo di basso profilo rappresentano l’origine della precarietà azzurra ma adesso tocca a Benitez fare la differenza. Rafa ha difeso quest’organico, ha ribadito ad inizio stagione che la rosa era più forte dell’annata precedente, ora tocca a lui spezzare il ciclo negativo e rilanciare il Napoli, che oggi ha undici punti in meno rispetto allo scorso campionato. La Coppa Italia è un’opportunità interessante, l’Europa League una speranza a cui aggrapparsi ma anche in campionato il Napoli ha il dovere di crederci fino alla fine. Lo meritano i tifosi delusi da un progetto che fa fatica a volare, tra la strategie di mantenimento e la necessità di crescere, compiendo il tanto agognato salto di qualità. Nessuno può sentirsi esente da responsabilità: presidente, allenatore e squadra e tocca a tutti portare il Napoli fuori dalla crisi, a partire da domani sera.
Ciro Troise
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