Era l’8 Febbraio 2014, al San Paolo si gioca Napoli-Milan 3-1. Gli azzurri recuperano il gol di Taarabt che ricorda quello realizzato da Cassano con la maglia del Parma qualche mese prima. In conferenza stampa chiedo a Benitez se la scelta di Albiol di non attaccare il portatore di palla ma di aspettarlo per coprirgli la linea di passaggio fosse una scelta o un errore. Rafa risponde senza lasciar spazio a dubbi: “E’ un errore”. Questa situazione di gioco si è ripetuta altre volte e anche ieri il primo gol di Defrel, oltre alle responsabilità di Andujar, ha fatto emergere i soliti limiti della fase difensiva degli azzurri.
I centrocampisti non accorciano, i difensori non attaccano il portatore di palla che ha la massima libertà di realizzare la giocata. E’ un disastro difensivo che le formazioni di Benitez in passato non avevano mai espresso, così come non l’ha fatto il Milan di Sacchi fonte d’ispirazione di Rafa. Certi difetti erano emersi anche nella scorsa stagione ma non con la stessa frequenza con cui si stanno verificando in quest’annata. Il Napoli in trentotto giornate di campionato nel 2013-14 ha subito trentanove gol, solo tre in più rispetto alla stagione precedente con Mazzarri in panchina, La formazione di Benitez ha chiuso il campionato con la terza difesa del campionato a pari merito con l’Inter guidata proprio da Mazzarri. Dopo trentasei partite il dato è peggiorato sensibilmente: gli azzurri hanno subito quarantasette gol (sessantasei a livello stagionale), hanno la dodicesima difesa del campionato insieme all’Empoli. In attacco il Napoli è una macchina esplosiva, ha realizzato 101 gol considerando tutte le competizioni e ha il miglior reparto offensivo del campionato avendo segnato sessantasette reti come la Juventus campione d’Italia. I nove punti in merito rispetto allo scorso campionato sono da addebitare tutti all’aspetto difensivo, dove hanno influito gli errori individuali, lo scarso spessore della rosa a centrocampo e in difesa e un meccanismo tattico che non ha retto, che l’allenatore doveva tentare di modificare prima, invece di farlo solo ad Empoli e a Kiev in situazioni disperate.
Nessuno ha la controprova, naturalmente non si può sapere se togliendo le certezze del rodato 4-2-3-1 sarebbero emersi ancora di più i limiti di alcuni calciatori ma davanti all’evidenza di certe situazioni bisognava tentare, rischiare per cercare di aiutare una squadra in difficoltà nella fase di non possesso. Il secondo gol di Defrel è un canovaccio già visto, la sovrapposizione dell’esterno basso mette in difficoltà la catena di sinistra, l’inserimento tra le linee non è seguito dagli azzurri e l’uomo che arriva a rimorchio ha la libertà di calciare a rete e di far gol. Basta rivedere il gol di Pjanic in Roma-Napoli per rendersi conto che si tratta di una situazione consolidata.
Il mercato di basso profilo compiuto quest’estate ha indebolito l’organico ma non sarebbe corretto spiegare il calo avuto rispetto alla scorsa stagione con motivazioni tecniche. La partenza di Reina, visti i disastri di Rafael e qualche errore di Andujar, ha avuto un grande peso specifico soprattutto riguardo alle sue capacità di leadership nello spogliatoio ma non può spiegare tutto. Le cessioni di Pandev, Behrami, Dzemaili hanno tolto qualcosa soprattutto in termini di personalità ed esperienza rispetto ai nuovi acquisti, quest’organico ha dimostrato di non essere all’altezza delle cinque competizioni affrontate dal Napoli, ha dovuto anche affrontare qualche partita in più, considerando la Supercoppa e il cammino fino alla semifinale di Europa League ma un anno fa c’era la Champions che sicuramente prevede un grande dispendio di energie. La risorsa che il Napoli ha perso rispetto alla scorsa stagione si chiama entusiasmo. Sembrano due situazioni opposte vissute nello stesso ciclo, un anno fa il nuovo ciclo di Benitez, l’arrivo di Higuain, Callejon e degli ex Real Madrid sembrava creare le basi di un percorso importante. L’ambiente non ha retto all’impatto delle delusioni: la partenza di Reina, le difficoltà sul mercato, la disfatta di Bilbao che ha rappresentato un macigno per tutti. Sono nati malumori, dissidi che ci sono in tutti gli spogliatoi ma che poi possono essere pesanti quando non arrivano i risultati. L’entusiasmo può coprire anche i limiti di personalità, può aiutare i calciatori a gestire l’aspetto psicologico che più volte Benitez ha denunciato come principale problema di questo gruppo, basta ricordare l’ottimo ciclo post-Doha per rendersene conto. Il gruppo storico più legato alla società, composto dai vari Maggio, Hamsik, Insigne, Britos, non è riuscito a reggere il deficit di motivazioni e concentrazione emerso soprattutto tra chi aveva sposato il Napoli nel momento più alto della sua crescita societaria, in cui s’integravano le risorse dovute alla qualificazione in Champions League e alla cessione di Cavani con l’arrivo di uno degli allenatori più vincenti del mondo come Rafa Benitez e ha visto ridimensionate le sue aspettative. Quella favola si è spenta solo dopo un anno e il clima del San Paolo di ieri sera esprimeva la rabbia e la frustrazione di chi ha assaporato un sogno e rischia di trovarsi con nulla in mano. Il Napoli non può permettersi, però, un nuovo post-Bilbao: bisogna tirare fuori l’anima e impegnarsi con tutte le energie a propria disposizione per conquistare il terzo posto. Ieri è arrivata la vittoria ma in molti frangenti della gara si è visto un gruppo bloccato psicologicamente, ancora afflitto, timoroso nel finale di dilapidare con un altro errore difensivo anche il 3-2 conquistato. A Torino bisogna tirare fuori la rabbia di Mertens che ha piegato un buon Cesena, la voglia di alzare la testa per portare a casa la qualificazione in Champions League che sarebbe fondamentale per preparare la rivoluzione societaria in corso con un bel bottino d’introiti da investire sul mercato.
Ciro Troise
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