Era nell’aria la sensazione che fosse un grande weekend. Ho raccolto quest’impressione sabato pomeriggio al “Bisceglia” di Aversa, con l’entusiasmante vittoria della Primavera contro la Roma, una delle compagini più quotate per la vittoria del girone. Gli “aficionados” del calcio giovanile erano abituati a vedere i giallorossi dominare sempre contro gli azzurrini, sfruttando la superiorità del proprio collettivo. I valori si sono invertiti; la Primavera di Saurini, impostando la gara sull’intensità, ha mantenuto sempre il pallino del gioco contro la Roma in evidente difficoltà. E’ finita 3-0 per il Napoli, trascinato dalle magie di Roberto Insigne, autore di una doppietta e di un assist per la rete di Novothny. Sarà uno scherzo del destino, ma il risultato è lo stesso di Palermo. Una bella vittoria in casa di un avversario che sta acquisendo una propria identità tattica e di gioco, con la consapevolezza che qualche aiuto per Sannino deve arrivare anche dagli ultimi giorni di mercato. Il successo ha scatenato il solito sterile dibattito tra coloro i quali sostengono il Napoli si sia rinforzato e quelli che, invece, affermano che la compagine di Mazzarri si sia indebolita. Si tratta di una discussione sterile, stucchevole, caratterizzata dall’insopportabile cambio d’opinione in base alla prima giornata di campionato. Il Napoli non si è né indebolito né rafforzato, è cambiato, ha mutato il suo sistema di gioco. Ceduti Gargano e Lavezzi, Mazzarri ha abbandonato il profilo dei ritmi alti, della velocità, delle accelerazioni per costruire una squadra più quadrata, corta, impostata sulla solidità del gruppo, che chiude gli spazi per poi sprigionare le sue letali ripartenze.
La cessione di “El Mota” è apparsa come “un vaso di Pandora”, ha fatto emergere tutti i malumori dei tifosi in merito alla campagna acquisti del Napoli. L’uruguagio, nel bene e nel male, era entrato nel cuore dei tifosi; è stato uno dei simboli della rinascita azzurra. Con il suo dinamismo ha rappresentato il perno del Napoli che attacca gli spazi con la velocità degli uomini e non con il pallone, del pressing alto sul portatore di palla avversario, di un atteggiamento tecnico-tattico che Mazzarri ha deciso di cambiare.
Come per ogni uscita dolorosa, la società ha attribuito la responsabilità al giocatore che nella lettera ai tifosi ha anche ammesso di aver voluto cambiare aria.
Si tratta di una verità parziale. Che Gargano fosse sul mercato, si era già intuito dalle dichiarazioni dei protagonisti a Dimaro. Hamsik rivelò: “Non so come andrà a finire”; ancora più chiaro fu Mazzarri che disse: “L’ho schierato nel ruolo di mezzala, mi ha detto che preferisce giocare al centro della mediana, in questo momento è, quindi, un’alternativa ad Inler”. Parole ancora più forti nel post-partita dell’amichevole contro il Bayer Leverkusen: “Voglio gente motivata”, fino al battibecco per l’ingresso in ritardo per il secondo tempo di Napoli-Sporting Braga.
La storia di Gargano in maglia azzurra assomiglia a quella dell’operaio nella società industriale. Il suo lavoro è fondamentale e regge la crescita della produzione, ma la sua fatica rappresenta troppo poco per i raffinati salotti borghesi che con tono sommesso affermano: “Che recupera a fare i palloni se poi li perde?”. L’uruguagio non era più felice in maglia azzurra, il nuovo modulo l’aveva scalzato dal novero dei “titolarissimi” e Gargano è abituato ad essere un leader nello spogliatoio, non avrebbe potuto accettare di essere relegato nella posizione di comprimario. Un altro nodo fondamentale della cessione all’Inter è quello dell’ingaggio: l’uruguagio aveva chiesto un aumento in virtù del valore delle sue prestazioni in campo dai 900 mila euro percepiti ad 1,6 milione di euro. Non è un caso se ha firmato con l’Inter un contratto quadriennale ad 1,7 milione di euro, appena centomila euro in più rispetto alla sua richiesta. La domanda legittima è perché rinforzare una diretta concorrente che non ha neanche presentato un’offerta da capogiro, ma il mercato è fatto di rapporti; si tratta dell’abile gioco di incrociare i desideri di tutti.
In sintesi, Gargano voleva andare via ma la società ha deciso di accontentarlo, non ha provato a trattenerlo, mossa in cui è esperto De Laurentiis, come dimostra la salda posizione di Hamsik in maglia azzurra, nonostante il suo immenso patrimonio tecnico possa accostarlo alle principali squadre del calcio internazionale.
A Palermo il nuovo Napoli ha superato con buona valutazione il primo esame, considerando anche l’handicap per le assenze di Pandev, Zuniga e Dossena. Gli spunti su cui lavorare sono tanti. il 3-5-1-1 di Mazzarri, per essere stabilmente un bunker in fase difensiva, avrebbe bisogno di almeno un innesto in difesa: un difensore di passo rapido che possa far tirare il fiato a Campagnaro. Bisogna anche intensificare la preparazione sui calci piazzati, mettendo a punto i meccanismi per fare in modo che non rappresenti un pericolo ogni punizione o calcio d’angolo. E’ una questione di concentrazione e di conoscenza dei movimenti da compiere; ciò che è stato fatto finora non basta. Nonostante il dominio assoluto del Napoli nell’arco dell’intera gara, il Palermo al 66’ ha avuto l’occasione per pareggiare con Cetto, autore di una conclusione deviata da De Sanctis, dopo un contatto con Maggio che poteva causare il calcio di rigore. Sono bastati otto minuti a Mazzarri per capire che l’inserimento di Dzemaili al posto di Insigne aveva abbassato il baricentro allungando la squadra. La sostituzione di Vargas per Inler ha poi rimesso a posto gli equilibri. il Napoli si è schierato con il 3-4-1-2 con la diga formata da Behrami e Dzemaili, Hamsik ad illuminare negli ultimi trenta metri e Vargas e Cavani in attacco. Il cileno ha impreziosito il suo spezzone di gara anche con il preciso cross per il Matador in occasione del gol del definitivo 0-3.
Insigne è stato protagonista di una gara di grande sacrificio tra le linee, compiuta molto spesso lontano dalla porta. La gioventù è anche questo, la crescita passa per la sofferenza.
Nei summit della scorsa settimana ha prevalso De Laurentiis: l’acquisto di El Kaddouri e la volontà di trattenere Vargas rappresentano il trionfo della squadra giovane che sogna il presidente, un desiderio opposto a quello più volte espresso da Mazzarri. Manca un esterno e, saltato definitivamente Mesto, probabilmente sarà un altro giovane, in linea con le idee del patron, che martedì incontrerà nuovamente Triulzi ed Anellucci, gli agenti di Cavani per siglare il rinnovo del contratto del Matador. De Laurentiis porterà l’ingaggio del Matador almeno a quattro milioni, una svolta storica per il monte ingaggi del Napoli, ma attenzione alle promesse e alle possibili clausole rescissorie che possono preparare la cessione dell’attaccante uruguagio per la prossima stagione.
Il tecnico di San Vincenzo punta su Donadel come vice-Inler; l’ex viola ha recuperato dall’infortunio ma ci vuole ancora tempo per ritrovare il tono atletico. Dalle parti di Castelvolturno si parla di un mese per rivedere Donadel a pieno regime. L’equilibrio sulla mediana è precario, a Mazzarri spetta il compito di seguire i meccanismi per fare in modo che la cura degli equilibri non abbandoni il ritmo.
Ciro Troise
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