Il Napoli ha giocato sei delle ultime dieci edizioni della Champions League, le ultime quattro consecutive, uno scorcio d’avventura in cui il club di De Laurentiis è cresciuto a livello internazionale, basta anche considerare che in due occasioni su quattro gli azzurri hanno superato il girone fermandosi agli ottavi. Il Napoli ha incassato 66 milioni per la propria avventura in Champions League, un dato che certifica come questa competizione per la crescita del club sia il sol dell’avvenire. Per tornarci servirà un grande campionato, la concorrenza aumenta: Juventus e Inter sembrano di un altro pianeta, poi ci sono l’Atalanta che è una certezza, la Lazio con le risorse della Champions e le mine vaganti Roma e Milan.
La solidità finanziaria acquisita tra le plusvalenze assicurate dal lavoro di Giuntoli (cessioni Verdi, Rog, Chiriches per esempio) e la Champions che è diventata un’abitudine ha consentito al Napoli di portare il monte ingaggi a superare quota 100. Il rammarico è che De Laurentiis l’ha fatto nel momento propizio, inseguendo senza unità d’intenti la filosofia di calcio di Ancelotti, l’utopia per cui il Napoli potesse esprimere un calcio di gestione, con pochi concetti di riferimento e libertà massima ai singoli. Ancelotti aspirava al calcio liquido, posizionale, senza “ingabbiarsi” in un’identità molto definita, in una filosofia di sistema che punti con i meccanismi collettivi ad esaltare i singoli. Il risultato? Tensioni e clima da “tutti contro tutti” che poi ha portato all’ammutinamento e ai risultati pessimi della prima parte della stagione.
Il cammino dell’Atalanta, anche l’exploit del Lipsia confermano che, quando non si hanno a disposizione i top players, la via maestra è costruire un sistema e farne il proprio scudo, delineare un copione e portarlo in scena con pochi compiti, ben delineati, non chiedendo troppo alla capacità d’improvvisazione degli attori.
Il Napoli ha la necessità di rifarsi un sistema, guardare alle indicazioni positive dell’estenuante stagione terminata a Barcellona (soprattutto la compattezza difensiva in certe occasioni-chiave) e intervenire per migliorare ciò che non va (troppi pochi gol, 79, non accadeva dall’annata 2010-11). Gattuso e De Laurentiis filosoficamente non si sono presi, Ringhio vuole essere libero, scommettere su se stesso senza farsi ingabbiare dalle clausole, il presidente ha nella contrattualistica blindata uno dei suoi storici riferimenti nel fare impresa. Il contratto di Gattuso in scadenza a giugno 2021 non pregiudichi lo sviluppo di una visione che delinei una strada anche per il futuro, un progetto di calcio che possa avere un respiro più ampio di una sola annata.
Serve il sistema Gattuso, il mercato e le esigenze in merito alle cessioni non devono travolgere le idee tattiche, così nell’era Sarri il Napoli è andato oltre i propri limiti. Dal raduno di domenica c’è una priorità: rigenerare il progetto sul campo. Che Napoli vedremo? Come vuole impostare la fase difensiva? Aggressivo con la linea alta per le ripartenze ad alta velocità o un po’ più basso mettendo insieme l’educazione al palleggio con il fattore Osimhen che dovrebbe trasformare l’attacco alla porta avversaria? Sono le domande a cui cercheremo risposta durante il ritiro di Castel di Sangro.
Ciro Troise
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