È stata una sconfitta di campo, il giudice supremo che contiene un po’ tutto: tattica, fisica, tecnica e psicologia, che rappresenta uno dei fattori su cui riflettere (anche importante) ma che a Napoli abbiamo il vizio di eleggere ad unica e totalizzante spiegazione.
La Fiorentina è una delle squadre che gioca a meglio nel nostro campionato, non a caso ha 23 punti in più di un anno fa e con l’organizzazione tattica ha retto anche al cospetto della partenza di Vlahovic. La media punti della Viola, infatti, nel girone di ritorno è cresciuta, la Fiorentina è in piena lotta per andare in Europa League e può ancora sognare il colpaccio a Torino nella semifinale di ritorno di Coppa Italia.
Cosa vuol dire tutto ciò? Che giocare contro la Fiorentina non è semplice, per vincere serve una gran partita e il Napoli non l’ha fatta. Basta vedere anche il pareggio della Viola a San Siro contro l’Inter, con l’occasione sprecata da Ikonè all’ultimo minuto.
La Fiorentina come il Napoli contro l’Atalanta ma con le sue armi
Il Napoli è partito molto bene, nei primi venti minuti ha avuto quattro palle-gol nitide: il colpo di testa di Osimhen, il pallonetto di Insigne, il non-tiro di Fabian Ruiz e il gol in fuorigioco di Victor. Aveva il ritmo dalla propria parte e cercava di colpire la linea molto alta della Viola con il contro-movimento di Insigne a sinistra e la profondità di Osimhen.
Le partite cambiano in un attimo, la Viola, quando riusciva a palleggiare, aveva già dato segnali di qualità ma dopo il gol di Nico Gonzalez, una splendida azione che nasce dalla costruzione dal basso, ha preso la partita in mano.
L’assenza di Anguissa è stata sottovalutata, il centrocampista ex Fulham ha cambiato il Napoli due volte: prima ad inizio stagione e poi dopo la sconfitta contro il Milan, quando a Verona è rientrato in campo dal primo minuto.
Dover rincorrere il palleggio degli altri con Fabian Ruiz (chiamato a gestire da qualche mese la pubalgia) e Zielinski non è semplice e, visto anche il pressing della Viola, il Napoli si è ostinato troppo spesso nella palla lunga per Osimhen. L’equilibrio è fondamentale, non è un caso che il Napoli, trascinato da Mertens, era riuscito anche a pareggiare ma poi si è sgretolato, pagando una lettura errata di Mario Rui, che ha rischiato l’anticipo su Nico Gonzalez andando a vuoto e una palla persa da Rrahmani per le reti di Ikonè e Cabral. Osimhen poi con un gran gol ha riacceso la speranza ma il Napoli non ha avuto neanche la forza di essere pericoloso nel finale.
Identità tattica, frenesie e l’emergenza di dicembre: le ragioni del rendimento interno
Il Napoli da alcuni mesi non è più dominante, si è comportato da squadra matura, cinica, solida. In un campionato con la mediocrità al vertice, tutto ciò basta per essere in lotta per lo scudetto. Poteva essere sufficiente anche contro la Fiorentina perché il Napoli ha avuto comunque otto palle-gol nitide.
La solidità negli ultimi mesi si è un po’ smarrita, il Napoli subisce gol da dieci partite tra campionato ed Europa League, la Fiorentina ha trovato la giornata perfetta facendo tre reti con quattro tiri in porta, praticamente quello che avevano fatto gli azzurri a Bergamo.
Otto sconfitte stagionali in casa (di cui cinque in campionato) sono troppe, fotografano un malessere che ha varie ragioni. C’è una tendenza strutturale, il Napoli è un ibrido “osimheniano”, ha un’anima da possesso palla esasperato con i vari Koulibaly, Mario Rui, Insigne, Mertens, Zielinski, Petagna, Fabian Ruiz, Lobotka che deve fondersi in un compromesso di alto livello con i giocatori da profondità come Osimhen e Lozano. Non la scopriamo oggi una rosa ampia ma “particolare”, senza un’alternativa per caratteristiche ad Anguissa, che grazie al lavoro di Spalletti ha scoperto d’avere in organico alternative come Ghoulam e Zanoli, qualche volta anche Malcuit.
Spalletti è riuscito spesso a valorizzare quest’ibrido con l’abito camaleontico ma quando bisogna cambiare piano-partita costantemente c’è il rischio di farsi “incartare”, come accaduto contro il Milan e la Fiorentina. In casa si è chiamati di più a fare la partita e ciò può creare delle difficoltà, poi nei dati incide tanto il mese di dicembre con le tre sconfitte interne consecutive contro Atalanta, Empoli e Spezia in uno dei periodi di grande emergenza.
L’aspetto psicologico è una delle componenti, è evidente che ci sia più frenesia nelle scelte in casa, soprattutto con lo stadio pieno e la pressione del sogno scudetto.
Le chances si riducono ma non è finita
Le chances si riducono, l’Inter vista contro il Verona sembra proiettata a fare filotto, ha ritrovato le certezze dei momenti migliori ma non è finita. Il calcio è imprevedibile, questo campionato ha già dimostrato di cambiare più volte il proprio respiro. Sotto il profilo dell’equilibrio, siamo tornati indietro di dieci anni, quando la Juventus di Conte vinse il suo primo scudetto con 84 punti o l’anno prima con il Milan di Allegri campione d’Italia ad 82 punti.
L’equilibrio a quei tempi era in vetta, il calcio italiano viveva ancora nell’illusione di dominare la scena. Stavolta, invece, la mediocrità nell’alta classifica è dilagante e l’unica risorsa è la crescita della base, con il campionato di Fiorentina, Torino e la conferma di realtà come Sassuolo, Verona e Spezia.
Il Napoli deve farsi trovare pronto, “resettare” la sconfitta come fece dopo quella contro il Milan e provarci, così si onorano i sogni nella stagione in cui si è comunque creata un’empatia con la gente come dimostra il pubblico ritrovato allo stadio. Contro la Roma poi è fondamentale chiudere definitivamente i discorsi per la qualificazione in Champions League, non bisogna assolutamente rianimare le speranze giallorosse. Il Napoli non si permetta di spegnere il sacro fuoco, come hanno di fatto promesso ieri Koulibaly e Insigne.
A cura di Ciro Troise
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