E’ un paese strano l’Italia, dominato dalla dittatura della memoria a breve termine. Il Napoli incanta e vince all’Olimpico, raggiunge il record delle dieci vittorie in trasferta con quattro partite da disputare ancora lontano dal San Paolo, colleziona il secondo successo stagionale a Roma.
Non si battevano sul proprio campo entrambe le squadre della Capitale dalla stagione 1986-87 ma la Lazio era in B e fu affrontata in Coppa Italia, per due vittorie a Roma nello stesso campionato di serie A bisogna risalire al Napoli di Vinicio della stagione 1975-76.
Gli azzurri blindano il terzo posto, restano in scia della Roma, per ampi tratti della partita danno una lezione di calcio alla Lazio, tornano al clean sheet che mancava dalla sfida contro il Genoa del 10 Febbraio e, riguardo alle gare in trasferta addirittura dallo 0-5 di Cagliari dell’11 Dicembre ma il dibattito nel post-partita è spostato su altri versanti.
Il Napoli incanta, diverte ma il gap con la Juventus sembra ancora più ampio, si sostiene da più parti. Perché non dovrebbe essere così dopo che proprio il Napoli ha ceduto in estate uno dei migliori attaccanti della propria storia? Viste le differenze di fatturato e di spessore dell’organico, perché poi il gruppo di Sarri sarebbe chiamato a vincere?
“A Napoli vincere è un evento, non un obiettivo”, diceva ieri Maurizio Sarri in conferenza stampa e la storia gli dà ragione perché dal 1926 ad oggi solo in undici stagioni il Napoli ha portato a casa dei successi.
Analizzando le quarantadue partite disputate dal Napoli, l’unico appunto ascrivibile nell’analisi limitata al campo è nella scarsa solidità difensiva ma, considerando la cessione di Higuain, l’infortunio di Milik, le energie che sottrae la Champions League, il cammino del Napoli è fantastico, visto che ha gli stessi punti della scorsa stagione con in più gli ottavi di finale contro il Real Madrid e la semifinale di Coppa Italia contro la Juventus.
L’amaro in bocca c’è ma attribuire alla squadra la responsabilità di non portare a casa alcun trofeo è fuorviante e stucchevole, così come il dibattito sul circo che ha innescato la dichiarazione di Massimiliano Allegri.
Ogni squadra ha le sue caratteristiche, la sua identità costruita dall’allenatore valorizzando le risorse a sua disposizione. Il gap tra Juventus e Napoli non è certamente dovuto al lavoro dei due tecnici ma all’enorme distanza tra le rose a loro disposizione.
Il Napoli ha impiegato finora quattordici giocatori su venticinque nati negli anni ’90, la Juventus solo cinque visto che Audero, Mandragora e Mattiello non sono mai scesi in campo finora.
La responsabilità del salto di qualità non può essere attribuita a Sarri ma a De Laurentiis, che deve decidere cosa fare con il suo Napoli, se accontentarsi di navigare nelle zone alte della classifica con la partecipazione costante alle coppe europee oppure puntare a far crescere la sua creatura, in termini di fatturato, di spessore complessivo della rosa e di filosofia gestionale.
Il punto di partenza è non smantellare l’organico, resistere alle offerte, rivedere i parametri in termini di monte ingaggi e diritti d’immagine per trattenere calciatori di grande spessore che altrove potrebbero guadagnare molto di più. Le difficoltà nei rinnovi di Ghoulam e Mertens lo dimostrano e sarebbe poi veramente un disastro far partire anche Insigne, il cui rinnovo è ancora tutto da scrivere, e Koulibaly che nella scorsa estate è stato corteggiato dal Chelsea con offerte vicine ai sessanta milioni.
Plusvalenze e salto di qualità possono anche coesistere ma bisogna verificare l’equilibrio creato, se si vuole sfidare la Juventus bisogna lavorare su settore giovanile, marketing e stadio per far crescere il fatturato e allo stesso tempo fare dei sacrifici, mettendo talvolta il progetto tecnico davanti alla questione economica. De Laurentiis vuole farlo? E’ il momento di fare chiarezza e dirlo ai tifosi.
Ciro Troise
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