“Mi ricorda Cavani per la cattiveria con cui attacca lo spazio”, parole di Lorenzo Insigne nel post-partita di Parma-Napoli. In questa dichiarazione c’è la rivoluzione copernicana che rappresenta Victor Osimhen. Cavani ha lasciato il Napoli sette anni fa, dall’addio del Matador ad oggi il Napoli ha cambiato quattro allenatori, sfiorato uno scudetto, vinto due Coppe Italia, una Supercoppa, perso l’occasione di andare in finale di Europa League e disputato quattro volte la Champions.
Da Higuain a Mertens, la filosofia Napoli
Il Napoli è cresciuto soprattutto acquisendo una filosofia di gioco: centravanti che s’abbassa per legare il gioco, costruisce con i compagni, poi attacca la profondità e riempie l’area di rigore. Higuain l’ha interpretata in modo straordinario e ha portato a casa il record di 36 gol poi raggiunto da Immobile, Mertens è esploso nel ruolo di centravanti e ieri ha segnato il gol numero 88 negli ultimi quattro anni ma ogni “ideologia” tende a fare il suo ciclo, ha bisogno di varianti per sfuggire alla prevedibilità che rischia d’essere inevitabile.
Dopo Higuain ci doveva essere l’era Milik e il centravanti polacco prima degli infortuni era entrato dentro quei concetti. Basta ricordare il gol contro il Bologna: palla avanti, palla dietro, palla nello spazio di sarriana memoria.
Ancelotti ha prima tentato di restare nella scia di Sarri con l’idea Hamsik regista, poi ha scelto il suo 4-4-2 nella stagione di transizione verso la rivoluzione che, non avendo unità d’intenti con Giuntoli e De Laurentiis, è miseramente fallita.
Gattuso è venuto a fare il “commissario prefettizio” nel comune disastrato, con la squadra impaurita per l’ammutinamento che aveva perso anche le certezze in campo. Ringhio le ha ricostruite accettando anche di difendersi basso per correggere la fase difensiva, portare a casa i risultati e dare fiducia ai ragazzi. La vera transizione verso una nuova era è stata compiuta da dicembre ad agosto, nella stagione più anomala della storia del dopoguerra causa pandemia.
Osimhen è la rivoluzione copernicana
La rivoluzione copernicana ha un nome e cognome, si chiama Victor Osimhen perché da quando esiste il calcio i centravanti rappresentano l’identità di una squadra. È stato il Napoli di Cavani, poi quello di Higuain, con Mertens si diceva di Sarri ma gli azzurri si sono aggrappati allo scugnizzo di Lovanio, De Laurentiis lo sa bene, perciò gli ha rinnovato il contratto.
Gattuso intanto, forte anche del rifiuto al rinnovo, continua giustamente a fare di testa sua, conferma Ospina, inserisce Hysaj a sinistra anche per mandare un messaggio visti i colloqui in corso per il rinnovo, individua il momento giusto per puntare su Lozano e opta per la via graduale nell’inserimento di Osimhen.
Il Napoli nel primo tempo ha dimostrato che è venuto il momento di cambiare, con Mertens che s’abbassa per costruire il gioco non ci sono più Allan e Hamsik che vanno dentro e Jorginho che inventa calcio, ma Fabian Ruiz e Zielinski, due grandi interpreti del palleggio, interni di grande sostegno al gioco ma che non hanno la capacità di buttarsi negli spazi in area di rigore. C’è poi Demme, un “equilibratore” nel coprire il vertice basso ma non ha la palla in verticale in maniera rapida per bucare la difesa avversaria.
Osimhen ha cambiato tutto, il Napoli nella prima ora di gara non aveva mai tirato in porta, con l’attaccante nigeriano in campo ha realizzato sei tiri nello specchio, realizzando due gol, colpendo un palo e macinando occasioni. Victor ha allungato la squadra e aperto gli spazi con i compagni che arrivano a rimorchio.
La sfida è l’equilibrio, le varianti tattiche di Parma
La sfida di Gattuso è trovare l’equilibrio giusto per far funzionare questa macchina, osare con intelligenza attendendo dal mercato il mediano alla Bakayoko che può aiutare tutti a credere nell’alternativa 4-2-3-1. Il miglior acquisto sarebbe la permanenza di Koulibaly, a Parma per la prima volta la coppia con Manolas si è registrata perché c’è stato qualche cambiamento anche nell’interpretazione della fase difensiva.
Nella costruzione dal basso il Napoli impostava a 3, con il greco che si staccava e concedeva ad Ospina l’onere di far partire l’azione, la sana ossessione per il lavoro di reparto concedeva qualche eccezione a Kalidou di staccarsi e guidare la difesa alta. È un Napoli più aggressivo, anche nel primo tempo la linea a quattro dietro Mertens in fase di non possesso era più alta del solito. Immagini sparse della rivoluzione in corso, c’è una certezza: il Napoli sta uscendo dalla comfort zone del 4-3-3 e di dominare il campo solo con il palleggio.
Ciro Troise
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