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Il Napoli ha un blocco nella testa

Nel Napoli è sparito il collante che unisce le storie di ogni singolo, il lavoro che nel calcio è compiuto dagli allenatori e soprattutto dai dirigenti

Calzona ha fotografato subito i disagi del Napoli: “Il problema è mentale”. La difficoltà è riuscire a correggere la rotta, mettere mano ad una situazione complessa. Il Napoli fa fatica ad essere squadra, non si diverte, non crede più nei suoi principi di gioco, nella traccia di calcio che porta avanti. S’accende a tratti quando con un episodio trova fiducia. Basta ricordare le ultime due partite: il Napoli al 75’ trova il gol contro il Barcellona e sulla scia dell’entusiasmo costruisce quindici minuti di buon livello creando anche due occasioni con Anguissa e Simeone.

La rete di Osimhen ha acceso la produzione offensiva del Napoli, a Cagliari si è verificata una dinamica simile. Il Napoli per 65 minuti sbanda, produce un solo tiro in porta con Raspadori, poi dopo la rete di Osimhen si libera nella testa e trasforma il suo atteggiamento inc ampo. Il Cagliari s’apre, concede più spazi, il Napoli trova fiducia, dopo un’oretta in cui sembrava bloccata senza palla acquisisce coraggio e costruisce quattro palle-gol: quella in fuorigioco di Osimhen, le occasioni sprecate da Politano e Simeone e la conclusione di Lobotka terminata di poco a lato.

La tendenza allo psicodramma era nell’aria dal 70’, dal fallo di Juan Jesus su Pavoletti fuori dall’area di rigore, poi all’ultimo respiro il Napoli ha sciupato l’occasione di vincere con la partita in pugno a causa di un errore clamoroso dello stesso difensore brasiliano. Sarebbero stati tre punti preziosi non solo per la classifica ma anche perché l’unica strada per rialzare la testa è portare a casa iniezioni di fiducia ed entusiasmo attraverso le vittorie, anche sofferte. Da Cagliari, invece, il Napoli porta a casa un’altra mazzata sull’umore, un ulteriore ridimensionamento delle aspettative già basse.

Le facce di fine partita a Cagliari erano molto significative, si notava lo sconforto, gli sguardi si perdevano nel vuoto con la consapevolezza di aver aggiunto un’altra giornata deludente ad una stagione balorda.

Calzona ha individuato la problematica, parlato degli errori commessi anche con la squadra ma la sua terapia d’urto è psicologica. Niente isterismi, Calzona arriva dopo mesi di disastri gestionali che partono dall’estate della presunzione di De Laurentiis fino alle prestazioni di una squadra in difficoltà.

I calciatori sono passati da un rendimento superiore al proprio livello con Spalletti ad una terribile continuità di prestazioni di rango inferiore rispetto alle loro qualità. Una storia che ha alimentato frustrazioni, egoismi, ridimensionato la causa collettiva a favore di quelle individuali. È sparito il collante che unisce le storie di ogni singolo, il lavoro che nel calcio è compiuto dagli allenatori e soprattutto dai dirigenti.

È inutile perdersi in ragionamenti sugli obiettivi, il Napoli deve innanzitutto ritrovarsi, recuperare una strada condivisa in campo e poi in base ai risultati si vedrà cosa può ottenere in un’annata in cui rischia d’andare fuori dalle coppe europee dopo 15 anni di presenza continua.

Il rischio è non riuscire a trasformare quest’inerzia negativa, la notte di Barcellona può rappresentare un sogno ma per credere veramente a quell’impresa bisogna costruire una squadra diversa a partire dai prossimi impegni di campionato.

È utopico pensare che il Napoli possa offrire prestazioni d’alto livello per l’intera gara, è probabile che potrà far bene a tratti ancora per qualche partita ma deve saper capitalizzare le situazioni, ridurre gli errori.

La terapia psicologica consiste in questo percorso, dalle difficoltà si viene fuori imparando a stare in tutte le situazioni, portare a casa il massimo possibile anche nelle fasi in cui non si riesce ad esprimersi al meglio. Serve più di un mental coach, non può bastare né Calzona né qualsiasi altro allenatore ma è necessario un percorso di gruppo per superare il blocco nella testa.

Ciro Troise

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