Scorrono ancora le emozioni della festa, il popolo napoletano sparso nel mondo ha atteso 33 anni ma ha potuto godere di una sorta di risarcimento morale, potendo godersi un campionato dominato, con una festa durata un mese e in realtà le bandiere esposte ai balconi da febbraio. Un campionato da record dove il Napoli ha portato a casa tutto: primato assoluto, miglior risultato europeo della propria storia in Champions League, miglior attacco, miglior difesa, miglior differenza reti, capocannoniere della serie A.
Il Napoli resterà competitivo, può lottare ancora per la vittoria ma bisogna rendersi conto che si tratta di un’annata irripetibile anche perché le stagioni sono tutte diverse. C’è stato il Mondiale, la stagione si è spaccata in due tronconi, a gennaio 2024, invece, ci saranno la Coppa d’Africa e la Coppa d’Asia. La città si goda la straordinarietà della festa, vincere da queste parti consegna i protagonisti alla leggenda perché il successo non può mai essere un’abitudine.
Stavolta è veramente finita e, quindi, ci tocca pensare al futuro, a ciò che verrà. De Laurentiis ha vinto quasi tutte le sfide, spesso quando la strada si è fatta impervia ha saputo tirar fuori risorse inaspettate. Non può essere solo fortuna, è fiuto, lungimiranza, capacità di vedere ciò che gli altri non osservano.
Rispetto a tutto ciò che ha accompagnato la storia del Napoli in questi diciannove anni, De Laurentiis è chiamato ad affrontare la sfida più difficile della sua avventura nel calcio. Tra vincere e non vincere c’è tutta la differenza del mondo, l’ha capito benissimo De Laurentiis. In pochi mesi ha annullato qualsiasi conflitto in città, è stato acclamato, ha risolto anche la storica “guerra” con il tifo organizzato, ha partecipato ai vertici istituzionali. Il Napoli è inevitabilmente dopo lo scudetto in un’altra dimensione, avrà gli occhi addosso di tutti gli avversari che vorranno subito destituire il trono.
Dentro questa trasformazione del proprio status, c’è da ricostruire il proprio gruppo dirigente con la probabile partenza di Giuntoli e l’addio di Spalletti. Una scelta che va rispettata ma un po’ di malinconia è inevitabile. Ha deciso di andar via da vincitore soprattutto perché con De Laurentiis ha avuto un rapporto tormentato sin dalle prime settimane. L’obiezione è che anche gli altri allenatori hanno attraversato delle criticità ma ci sono due differenze fondamentali: Spalletti mette da parte ma non dimentica, tiene le cicatrici sulla sua pelle, anche quelle dell’anno scorso e ogni tanto le ricorda, poi non ha la fame di Mazzarri, Sarri, quelli che a Napoli hanno avuto il trampolino di lancio. Spalletti è un fuoriclasse della panchina, aveva raccolto meno finora rispetto al suo valore anche per la sua spigolosità caratteriale e le vicende vissute a Roma e Milano, lo scudetto a Napoli ha fatto giustizia anche per lui.
De Laurentiis è un uomo solo al comando, sta affrontando questa scelta così complicata da solo, con pochi consiglieri. Uno status che gli piace, forse lo esalta anche, tocca a lui ritrovare un nuovo equilibrio. Una mossa che sembra voler fare per ripartire è provare a trattenere Osimhen magari anche con un rinnovo del contratto che possa proiettare fra un anno la sua eventuale cessione. De Laurentiis merita ovviamente la fiducia piena, sincera, lo dice la Storia. Lo scudetto per questa città era un’ossessione, un sogno che sembrava impossibile. Ora che è accaduto, Napoli guardi avanti ma senza dimenticare la sua storia fatta di identità e senso d’appartenenza.
Ciro Troise
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