Benitez sbaglia l’approccio tattico e mentale, il suo Napoli si presenta allo Juventus Stadium timoroso, rintanato e lento. Alcuni azzurri ombre di se stessi e a Torino arriva la terza sconfitta in tre trasferte contro grandi squadre, dopo Londra e Roma.
INIZIO DA INCUBO – Verrebbe da dire che la rete al 1′ di Llorente, in evidente fuorigioco, abbia rovinato da subito i piani di Benitez e impedito ai suoi di giocare sulle ripartenze. Fosse così, l‘avvio travolgente dei bianconeri sarebbe stato appunto l’arma tattica utile a spiazzare tutti e a vanificare ogni strategia ospite. Fosse così, visto lo stesso aspetto dalla prospettiva opposta, proprio un iniziale spirito attendista avrebbe lasciato spazio alla forza d’urto della Juve. Il problema è che non è solo questione di strategie iniziali: il Napoli è sceso in campo quasi paralizzato a Torino, e per 15′ è stato in balia dei padroni di casa. Ed è un replay dopo gli approcci sbagliati con Catania e Marsiglia delle ultime due gare. Qualsiasi siano cause e risvolti dell’immediato vantaggio juventino, il Napoli ci ha messo venti minuti per ritrovarsi ed appropriarsi del possesso palla, lungo quanto sterile. E pur ritrovandosi, non ha mai giocato con convinzione e velocità, arrancando su un terreno che sembrava appesantire le gambe degli ospiti.
LE DINAMICHE DELLA SCONFITTA – Il rompicapo del post-partita è andare a interpretare la sterilità, a momenti impotente, delle manovre azzurre, e un 3-0 arrivato nonostante un Napoli che dal canto suo ci ha provato, e ha pure tirato in porta. Può essere sufficiente appellarsi solo alla qualità della Juve o a un copione stravolto dall’inizio sciagurato? Il problema è che per tutto il primo tempo la circolazione del pallone, pur a lunghi tratti fra calzettoni azzurri, è stata lenta e prevedibile, priva di movimento senza palla, poco verticale, ingabbiata dal pressing dei bianconeri. Il problema è che, al contrario, appena è stato il Napoli a chiudersi, ha subito preso gol e ha rischiato di prenderne altri dopo, arretrando terribilmente il baricentro senza mai pressare i primi portatori di palla bianconeri. Dopo l’1-0 la Juventus ha avuto tutte le ragioni per difendersi: nel primo tempo il Napoli è stato impotente, smarrendosi nelle maglie della squadra di Conte, schierata perfettamente a protezione della propria metà campo, capace di occupare disciplinatamente ogni spazio. Nella ripresa, pur innalzando baricentro e ritmo, il Napoli non ha avuto la meglio del centrocampo più folto e della difesa accorta della Juventus.
LE RAGIONI DELLA SCONFITTA – Aggressività e dinamismo, ovvero la corsa e i contrasti, sono il dato lampante che salta agli occhi: in questo la Juventus dell’era-Conte è sempre stata impeccabile e su questo piano ha schiacciato il Napoli. Ma il resto è da ritrovare nella preparazione della gara studiata dal tecnico juventino. Conte ha saputo annullare le potenzialità del Napoli, proponendo una partenza-lampo (fortunata nell’aver fruttato l’immediato vantaggio), per poi indirizzare la partita su ritmi bassi, senza mai scoprire i propri fianchi, anche quando attaccava. Inceppando così i meccanismi della squadra azzurra, che delle folate veloci, dei ritmi alti e degli spazi aperti fa la propria arma micidiale. Per chiudere il match, infine, nel secondo tempo Conte ha giovato della qualità dei suoi uomini, con i gol di Pirlo e Pogba, praticamente entrambi da fermi. Insomma, semplificando di molto, la tattica di Conte ha permesso alla Juventus di attaccare bene e difendere bene e ha costretto il Napoli ad attaccare male.
GLI ERRORI NELLA SCONFITTA – In un 3-0 meriti e demeriti sono sempre gli uni causa ed effetto degli altri: i pregi della Juventus si sovrappongono perciò con gli errori del Napoli. Benitez ha snaturato il suo stesso 4-2-3-1: ne ha ridotto il potenziale e ha isolato Higuaìn nel momento in cui ha chiesto a Callejón ed Insigne di fare i tornanti. Lo spagnolo ex-Madrid, tra l’altro, è stato spremuto fino al midollo nell’ultimo mese, e a prescindere dalla riserva delle energie, in una partita del genere è molto difficile poter dare il massimo in entrambe le fasi. Ma soprattutto, recenti esperienze mazzarriane avevano insegnato che contro la Juve di Conte non paga rinunciare all’offesa in virtù della difesa. Così disarmare Callejón ha significato armare Pogba, Asamoah e tutti quelli che si aggiravano da quella parte. Dall’altro lato, Insigne nel primo tempo era molto mobile, ma si è scontrato con un Barzagli eccezionale, superandolo di rado. Nella ripresa ha saputo vedere di più la porta, ma non ha trovato il gol: ha trovato solo i guanti di un ottimo Buffon. E dietro Insigne c’era Armero, sempre vittima dei suoi limiti tecnici, ieri sera anche vittima preferita degli attacchi juventini.
I FANTASMI DELLA SCONFITTA – Si aggiungano le prestazioni di alcuni singoli: ieri, fantasmi di se stessi. Di Callejón si è detto. Ma i veri assenti del Napoli sono stati Behrami e Hamšík. Il primo, ancora limitato dal problema al ginocchio, ha vagabondato in mezzo al rapido e tecnico centrocampo juventino, senza riuscire ad opporre il solito filtro. Lo slovacco ha giocato spesso spalle alla porta, anche lui più occupato con la fase di copertura che libero di lasciar esplodere le sue potenzialità offensive, incapace di accendersi. Logica conseguenza, il centrocampo azzurro è stato deficitario tanto in difesa quanto in offesa, mentre il povero Inler si ritrovava spaesato sia in marcatura che in costruzione. E anche il duo Inler-Behrami è ormai strizzato fino all’ultima goccia di carburante: assunto che Radošević non entra nelle grazie del tecnico, serve un ricambio per la coppia di svizzeri, perché Dzemaili non è un incontrista né un regista ma un incursore. Ai fantasmi visti al posto dei giocatori migliori del Napoli, si aggiungano i fantasmi che vengono fuori dalla disfatta piemontese: il Napoli ha perso tutte le trasferte difficili di quest’anno (Arsenal, Roma, Juve), ma soprattutto le ha perse mostrando limiti di personalità e tattici: troppo spesso timoroso e lontano dall’espressione migliore del proprio gioco, troppo spesso schiacciato da rivali più intraprendenti (Arsenal) o ben messi in campo e chiusi in difesa (Roma, Juventus). Nonostante un buon autunno, Benitez ha ancora molto da lavorare.
A cura di Lorenzo Licciardi
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