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Zeman: «Benitez è l’allenatore giusto per il Napoli, spero resti. Insigne? Peccato, stava iniziando a fare l’attaccante»

"Il tecnico spagnolo può dare tanto al calcio italiano: peccato usi troppi stranieri"

CAGLIARI.«L’immagine del mio Napoli che ricordo?». Zdenek Zeman allunga lo sguardo verso la piscina del centro sportivo del Cagliari, isola nell’isola. C’è il silenzio, tra un allenamento e l’altro,prima di andare al ristorante è il momento dei ricordi. «Eccola. La partita con il Real Madrid. Era un’amichevole di metà agosto, giocavamo in Spagna. Quella partita era l’immagine che avrei voluto dare del Napoli». Una partita perfetta, con il piccolo ragazzo di Pianura, Giorgio Di Vicino, bravo quella notte quanto i fuoriclasse del Real. L’illusione del boemo, seduto su una panchina traballante ancor prima che cominciasse la stagione, si spense in una domenica di novembre 2000, dopo il pareggio a Perugia: lo esonerarono. Ma resta l’affetto per Napoli e il Napoli, avversario del Cagliari domenica al San Paolo. Allenare il simbolo della Sardegna è un’altra sfida lanciata dal tecnico più controcorrente che il calcio italiano – e non solo – abbia conosciuto, con polemiche durissime, come quella del ’98 sulla «farmacia» sulla Juve, tuttavia sempre con il profondo rispetto per lo spettatore. Perché, come racconta in questa intervista al Mattino, Zeman vorrebbe che il calcio fosse sempre un grande spettacolo, senza fazioni e senza isterismi, senza violenze. Senza morti.
Ha mai pensato di poter tornare a Napoli?
«Ma io torno spesso, ho tanti amici».
Tornare ad allenare il Napoli.
«C’è un eccellente tecnico, Benitez è l’allenatore giusto».
Perché?
«Abbiamo qualcosa in comune sotto l’aspetto della proposizione del gioco. Benitez viene dalla realtà inglese, dove non si fanno calcoli ma si cerca la vittoria attraverso il gioco. È questa la mentalità giusta, anche se è difficile da applicare in un contesto come quello italiano».
Qui conta solo vincere e Benitez contesta questo atteggiamento.
«Ma se fai grandi proclami, lanci sfide, e poi non vinci? Cosa resta dopo le parole?Non è la mentalità giusta, questo è un aspetto dell’assenza di educazione sportiva in Italia».
Siamo messi male, lo ha detto anche Conte dopo soli tre mesi da commissario tecnico della Nazionale.«Qui non si fatica», si è sfogato.
«Non commento perché non so quello che fanno gli altri allenatori».
Ma lei è Zeman, l’allenatore dei gradoni, delle diete ferree, delle interminabili esercitazioni tattiche e degli allenamenti pesanti.
«Appunto,conosco il mio metodo di lavoro. E se chiede a me se ho fatto sempre lavorare i giocatori, dico di sì. Da sempre si fanno paragoni tra il calcio e altre realtà sportive e si fa presente che i calciatori lavorano meno di altri atleti perché hanno maggiori stress. È quello che pensano e dicono altri».
Conte ha messo alla porta Balotelli: ma quanto ancora ci interrogheremo su questo calciatore? Qual è la sua reale dimensione?
«È una domanda che dovreste rivolgere a voi stessi. Balotelli lo hanno creato i media. Al Mondiale, dopo il gol
all’Inghilterra, era diventato un intoccabile, un fenomeno, il campione che avrebbe dovuto portare lontano la Nazionale. Poi, finito il Mondiale, è stato massacrato ed è stato ritenuto la ragione di tutti i guai».
Non è messo male solo il calcio, qui. Quarant’anni dopo il suo arrivo a Palermo, dove raggiunse suo zio Vycpalek, come ci vede?
«Non ho mai avuto il rimpianto,o il pentimento, di essere venuto in Italia.Ci sono state esperienze negative e positive, sono cresciuto qui».
Renzi la convince?
«A parole. Mai fatti sono importanti».
Da questa crisi strutturale il sistema Italia e il calcio come possono uscire?
«L’ho detto, contano i fatti. Io credo che la crisi non sia solo quella dell’Italia, ma è generale. Qui ci sono problemi che vanno risolti in fretta. Penso anche al Sud, certo. È una realtà che conosco bene,perché il primo angolo d’Italia che ho vissuto è stata la Sicilia, è stata Palermo.Se c’è crisi, il Sud ne risente di più, La crisi della nostra società è nella mancanza di valori morali. È un aspetto che riguarda anche il calcio».
Perché?
«Perché qui manca una vera cultura sportiva. Oggi si parla della Nazionale e dei suoi problemi: è stato scelto un allenatore per affrontarli e risolverli. Ma il discorso va oltre questo momento. L’Italia ha vinto nella sua storia quattro Mondiali e questo ha fatto avvicinare la gente. C’è una difficoltà perché è cambiato l’approccio dei giovani al calcio: prima si faceva per passione, adesso per soldi, sono due cose molto differenti».
La gente si allontana anche per altre ragioni: la violenza è una di queste.
«Io ero all’Olimpico quella sera, quando venne colpito un tifoso del Napoli all’esterno. Molti spettatori si tengono distanti dagli stadi perché hanno paura di quello che potrebbe accadere. Dico spettatori e non tifosi perché il tifoso rappresenta una parte, una fazione, e non necessariamente deve essere questa la platea sportiva. Ci devono essere gli spettatori, come al cinema».
Ma questo campionato è un bel film?
«Non mi piace molto,ma ci sono state partite interessanti. Mi è piaciuto il Napoli contro la Roma, per esempio».
Forse non è un caso che lei abbia scelto Cagliari, un’isola, dopo la delusione vissuta alla Roma.
«Io sono venuto qui per fare il meglio possibile e per far divertire la gente. Ci sono margini di miglioramento, dipende tutto dal mio lavoro e dall’applicazione dei calciatori. Ma chiarisco: io a Roma non ho provato delusione».
Tornato in A, in una piazza che l’ha sempre esaltata, venne esonerato a metà campionato, però.
«C’erano problemi che non sono stati risolti, ma il lavoro non è stato negativo: la squadra è arrivata alla finale di Coppa Italia e in quella stagione sono stati valorizzati calciatori. Per me non è stato difficile ripartire a distanza di mesi».
I giovani. Lei ne aveva allenati tre straordinari nel Pescara del 2012: Insigne, Immobile e Verratti. Sono i talenti che mancano al calcio italiano?
«No, i talenti ci sono, ma a loro non si dà modo di crescere. Bisogna dare a questi ragazzi la possibilità di partecipare e di sbagliare. Sull’errore di un calciatore più esperto, già fatto, si passa sopra mentre al giovane non si dà un’altra chance. La fiducia non può essere limitata a una partita».
Zeman ne diede tanta a Insigne, prima a Foggia e poi a Pescara.
«Mi è dispiaciuto tanto per il suo infortunio, l’ho cercato».
Era a un passo dal ritorno in Nazionale.
«Aveva cominciato a fare l’attaccante».
Benitez se la prese quando lei disse che Lorenzo faceva il terzino nel Napoli. E Hamsik? È stato un suo giocatore ai tempi del Brescia.
«Non ha fatto un buon campionato nella scorsa stagione, ma il problema di Hamsik non sono i gol che fa: è la collocazione nel ruolo giusto per lui».
Ha visto il Napoli affondare la Roma in tv.
«Era partito male, ma è un’ottima squadra e lo sta confermando. È la formazione che ha giocato il calcio migliore nell’ultimo mese».
La Juve a sette punti, la Roma a quattro: gli azzurri possono rientrare in lotta per lo scudetto?
«Io penso di sì. I valori tecnici ci sono, ma c’è il discorso che riguarda Napoli: cambia umore da una settimana all’altra».
Lei l’ha vissuta poco.
«Però mi fa piacere quando mi dicono che ci sono napoletani che sono legati a me».
Sa che Benitez è in scadenza di contratto?
«Dovrebbe restare, mi auguro che decida in questo senso. Può dare tanto al calcio italiano, anche se utilizza troppi stranieri».
È rimasto un italiano, Maggio, dopo l’infortunio di Insigne. Perché, secondo lei, Benitez e il Napoli seguono questa linea?
«Non so,dipende dalle strategie della società: ci sono presidenti che preferiscono volgere lo sguardo verso l’estero e non verso i calciatori italiani».
Ha conosciuto De Laurentiis?
«No. Ma ho seguito lo sviluppo del suo progetto. Il Napoli è ripartito da un fallimento e dalla serie C,un momento e una dimensione che non avrebbe mai dovuto vivere una piazza come quella».
La tifoseria si aspetta l’ultimo grande salto, verso lo scudetto.
«Il Napoli ha fatto grandi passi in avanti in questi anni e penso che quel momento, il salto, sia vicino».
Il progetto Napoli di Zeman qual era nel2000?
«Penso a quell’amichevole ad Alicante, alla partita con il Real Madrid.Era quella l’idea,una squadra che riuscisse a trasmettere un modello di gioco apprezzabile anche ad alti livelli. Ci abbiamo provato».
Per quanti anni si immagina a Cagliari?
«Tanti, ma non dipende da me. Vorrei fare calcio in questa realtà, anche se siamo troppo isolati dal contesto».
Zemanlandia non esiste più, il miracolo della provincia che fa tremare le grandi squadre, è irripetibile.
«C’è una differenza tra squadre come la nostra e le grandi, qualcosa inevitabilmente manca, però anche qui ci si può divertire lo stesso».
C’è un calciatore che domenica toglierebbe al Napoli?
«No, è un giochino che non mi piace».
Che tipo di partita sarà?
«Il problema del Cagliari è di carattere psicologico. Prima, sembra che tutti si spaventino di noi. Poi, in campo,ci spaventiamo noi e non riusciamo a raccogliere quanto produciamo».
Provando a fare il primo bilancio della sua carriera, le è mancato non allenare una squadra da scudetto?
«No,perché io penso che non sono i giocatori a fare l’allenatore ma è l’allenatore a fare i giocatori. Mi sono divertito e mi diverto ancora».
Ha allenato in altre due piazze importanti della Campania, Avellino e Salernitana.
«Mi è dispiaciuto per la sconfitta dell’Avellino, peccato: il suo campionato è buono. Della Salernitana ricordo il primo anno positivo».
Il patron della Salernitana è lo stesso della Lazio, Lotito, che è anche l’uomo forte della nuova governante della Federcalcio.
«Non mi esprimo: ho un modo differente di vedere le cose».

Fonte: Il Mattino

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