«Non so se vinceremo lo scudetto ma so di certo che il mio Napoli vi divertirà». Questo il credo calcistico con cui Luis Vinicio, che compirà 80 anni martedì prossimo, si presentò nell’estate del 1973 al debutto come allenatore del Napoli nel salone dell’ex Circolo della Stampa in Villa comunale. Quel Napoli lo scudetto non lo vinse, lo sfiorò soltanto. Ma è indiscutibile che i napoletani si divertirono. Tant’è che ancora oggi, quando gli azzurri giocano un calcio piacevole, subito scatta il paragone con quel Napoli.
Vinicio, la sta facendo divertire questo Napoli?
«Che bella questa squadra. Contro il Chelsea poteva vincere anche cinque o sei a uno. Se continua così può anche arrivare in finale, magari evitando il Barcellona…».
Ottant’anni e tanta voglia di calcio, ma soprattutto tanta voglia di Napoli e del Napoli che continua a seguire con la massima attenzione e affetto.
«Che dire… La squadra è come se la sentissi ancora mia. E poi Napoli è la mia città. È la città dove si sono compiuti i miei destini professionali e personali. Ci arrivai che avevo 23 anni. Fu incredibile il feeling immediato con i tifosi allo stadio del Vomero per quel gol segnato al mio debutto dopo appena 20 secondi. Giocavamo contro il Torino di Bearzot».
Un amore che non ha mai avuto fine.
«A parte il periodo invernale, nel quale torno a Rio de Janeiro, a Napoli ci vivo con la mia Flora. Che ho ritrovato proprio in questa città, dopo averla conosciuta a Rio. Ci sposammo in piazza del Plebiscito, nella chiesa di San Francesco di Paola, con il comandante Lauro che ci fece da padrino. I miei figli, Mario e Marco, vivono in Italia. Mario è console onorario del Brasile a Napoli: una gran bella soddisfazione. Anche i miei nipotini sono italiani; Luisinho gioca anche abbastanza bene al calcio. Certo, ci sono stati anche momenti difficili, come quando dissero che ero malato, e mi cedettero al Bologna. Ma poi a Vicenza resuscitai, e vissi la mia ”terza età” da calciatore vincendo anche la classifica cannonieri. Con i biancorossi venni a giocare a Napoli e segnai due gol. Dopo ci fu la parentesi all’Inter e il ritorno a Vicenza».
Dopo Vicenza cominciò la sua carriera di allenatore, naturalmente a Napoli, con l’Internapoli di Chinaglia e Wilson. E nel 1973 il debutto in A, col Napoli…
«Quello è stato il periodo più bello, come allenatore, perché trovai un gruppo di ragazzi che mi seguì nelle mie idee innovatrici e mi aiutò a proporre tante novità. Credo che se quel Napoli fece storia e ogni tanto riaffiora nei ricordi della gente è proprio perché proponeva la zona totale e il fuorigioco, insomma un calcio nuovo per quei tempi di rigorose marcature a uomo».
E nel 1975 lo scudetto sfiorato: Napoli secondo, a due punti dalla Juve vittoriosa nello scontro diretto col gol di Altafini «core ’ngrato» all’88’.
«Una sconfitta amara, forse la più amara, perché quella partita così importante e decisiva noi potevamo vincerla e l’avremmo ampiamente meritato. Ed è per questo che i napoletani la ricordano ancora. Ma evidentemente così era scritto in cielo».
E dopo il Napoli, ha allenato la Lazio, l’Udinese, il Pisa, la Juve Stabia, ma soprattutto l’Avellino di Sibilia.
«Stagioni stupende anche lì. Salvezze incredibili: un anno partimmo da meno cinque. Poi ci fu l’anno del terremoto: una salvezza faticosa ma eroica. Per oltre due mesi giocammo lontano da Avellino perché il campo era diventato una tendopoli per i terremotati».
Torniamo al Napoli di oggi. Qualcuno paragona Lavezzi a Maradona.
«Maradona è stato un fenomeno unico. Ma Lavezzi nel calcio moderno è straordinario per la facilità con cui supera l’uomo e scombussola le difese. Non c’è nessun altro giocatore al mondo con queste caratteristiche. E poi la capacità di Cavani di trovarsi sempre pronto come uomo-gol e l’intelligenza tattica di Hamsik. Oggi i veri leoni sono loro…».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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