Il bresciano che vive da quarant’anni a Bergamo, Città Alta, e porta nel cuore Napoli. Ottavio Bianchi, l’allenatore di Maradona e del primo scudetto, è un pezzo di storia delle due squadre che si sfidano stasera al San Paolo. Lui vedrà la partita in tv. «Ormai allo stadio vado raramente, sono stato a seguire Atalanta-Bologna l’ultima volta. Preferisco gli stadi di altri Paesi, dove inevitabili sono i raffronti con i nostri: sono moderni, aperti ai giovani, con biglietti non tanto cari».
A Bergamo è arrivato da calciatore nel ’72 e non si è più mosso.
«Sono stato anche allenatore dell’Atalanta. Ero sulla panchina della Triestina, avevo il contratto per la successiva stagione, tuttavia l’insistenza della famiglia Bortolotti, proprietaria del club, fu forte. La squadra era precipitata dalla serie A alla serie C1 in pochi mesi: riuscimmo a risalire subito anche grazie al sostegno dei tifosi, ce n’erano 15mila a partita. Ero un giovane risultato, fu un risultato importante».
Lei puntò sui campioni affermati e sui giovanti talenti a Napoli nell’anno dello scudetto.
«Avevamo tanti ragazzi nati in Campania: Ferrara, De Napoli, Muro, Volpecina, Caffarelli, Di Fusco… Quand’ero io calciatore, per questioni legate all’alimentazione i talenti nascevano prevalentemente al nord: Friuli, Lombardia, Toscana. A partire dagli anni ’80 i migliori calciatori sono stati scoperti al sud e ora regioni come la Campania sono un vivaio permanente. Bisognerebbe rafforzare certi progetti, proprio come fa l’Atalanta, che ha una scuola simile a quella del Barcellona. I blaugrana mi piacciono perché non hanno una panchina da 400 milioni di euro: nelle seconde file ci sono soltanto ragazzi della Cantera».
Dal futuro al presente del Napoli: cosa è successo agli azzurri, che non hanno più vinto dopo l’eliminazione dalla Champions?
«Quando diventai allenatore del Napoli, nelle riunioni con Ferlaino e Allodi li avvertivo: guai ad esaltarsi per la vittoria sulla Juve. Ero stato calciatore a Napoli, conoscevo le passioni della piazza e i suoi sbalzi d’umore, che cercammo di gestire nello spogliatoio e anche fuori. Il problema è quando pericolosamente si passa dall’euforia alla depressione e credo che questo sia un lavoro delicato che Mazzarri sta affrontando, soprattutto in queste settimane».
Possibile che gli azzurri abbiano subito un calo fisico e psicologico anche perché hanno conquistato la finale di Coppa Italia?
«Non mi permetto di entrare in questi discorsi, Mazzarri ha il polso della situazione e le sue valutazioni sono le più opportune. Credo che tanti mesi a certi livelli, giocando su più fronti ad alta intensità, abbiano inciso. Il Napoli avrà certamente accelerato la preparazione, dovendo affrontare il più impegnativo girone di Champions League, e nei cambi di stagione possono emergere difficoltà sotto l’aspetto fisico perché a Napoli vi sono spesso temperature più elevate che al nord».
Il Napoli è a un bivio contro l’Atalanta dopo il ko sul campo della Lazio, adesso è a sei punti dal terzo posto e dal preliminare di Champions League.
«La squadra è in corsa a sette giornate dalla fine. Il distacco è colmabile, anche perché nelle precedenti partite Lazio e Udinese hanno dato l’impressione di aspettare il Napoli. Tutto può ancora succedere. Anche nella finale di Coppa Italia contro la Juve, ovviamente. È una competizione bistrattata finché non si arriva alla finale, che offre una chance per partecipare alle coppe europee».
L’allenatore del primo scudetto e della Coppa Uefa che giudizio dà su Mazzarri?
«Positivo, dal mio punto di vista, nel senso che io non posso sapere quali sono stati i discorsi fatti e gli obiettivi fissati nella stanza dei bottoni. Non conosco Mazzarri se non attraverso interviste televisive, però preferisco non ascoltare i miei ex colleghi: spesso in video non dicono le cose vere».
Un augurio a Mazzarri?
«Auguro al Napoli di non essere più una squadra simpatica: le squadre che vincono non sono simpatiche».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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