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Taglialatela, incubo finito: “Quattro anni sulla graticola. Un grazie particolare ai tifosi”

"Nessuno ha avuto dubbi su di me, mai, piuttosto si domandavano come può accadere qualcosa del genere"

Per Pino Taglialatela è stata la liberazione da un incubo, il peggiore della sua vita. È stato assolto, perché il fatto non sussiste, da un’accusa infamante che lo voleva affiliato al potente clan camorristico dei Mallardo a Giugliano. Ecco uno stralcio delle dichiarazioni rilasciate ad Il Mattino:
Come ha vissuto questi anni, con addosso il peso di un’accusa tanto pesante?
«All’inizio non pesava molto. Solo negli ultimi mesi era diventata angosciante».
Perché?
«All’inizio l’accusa non era grave. Mi era contestata l’intestazione fittizia di un’auto e di uno scooter a una mia zia. Li avevo fatti registrare a mio nome per consentirle di poter venire d’estate a Ischia dove vivo. Una leggerezza, un errore, ma non ci vedevo nulla di male. È una pratica diffusa. Poi c’è stato un arresto nella sua famiglia e hanno trovato a casa del marito di mia cugina lo scooter intestato a me. Da lì sono cominciate le indagini. E negli anni il pm ha rincarato la dose, facendo il suo legittimo lavoro e elaborando sue deduzioni. A maggio dell’anno scorso è stata formalizzata l’accusa di associazione camorristica».
E il suo tormento s’è aggravato?
«Certo, perché cresceva il peso delle accuse. Non era più solo una leggerezza. Poi, un mese e mezzo fa, c’è stata la botta: la richiesta del pm di una pena di 14 anni di carcere. Ero sulla graticola da più di quattro anni, è stato un colpo enorme, ho passato delle bruttissime nottate. Più che altro per l’eco mediatica della vicenda, perché sapevo bene di essere estraneo alle accuse. Sono rimasto chiuso in casa per una settimana».
La sua popolarità è stata danneggiata? Che cosa le ha fatto più male?
«Faccio calcio da una vita, lavorando con tanti giovani. Ho temuto che di me si pensassero le cose peggiori».
Ha provato a spiegare la sua estraneità?
«No, perché chi mi conosce sapeva e sa bene io chi sono. Ho ricevuto, invece, tanti attestati di solidarietà sui social, di persone che conoscevo e che non conoscevo, da tantissimi tifosi napoletani. Erano più loro a credere alla mia innocenza che io stesso. I tifosi napoletani quando ti conoscono capiscono di che pasta sei fatto, ti sono vicini per sempre».
Lei invece ha cominciato a dubitare di se stesso?
«Paradossalmente sì. È scattata l’ansia. Nessuno è fatto di ferro. Per fortuna il mio avvocato Luca Capasso piano piano e con serietà, lavorando nel rispetto delle indagini, ha portato in aula tutti gli elementi che dimostravano come il fatto non sussistesse, che non c’entrassi nulla con quella gente».
Qual è stato il clima in famiglia?
«Nessuno ha avuto dubbi su di me, mai, piuttosto si domandavano come può accadere qualcosa del genere. Avrò commesso una leggerezza, ma poi è cresciuta una valanga che mi stava schiacciando. Non vedevo l’ora che arrivasse il giorno in cui avrei potuto spiegare a tutti quale fosse la verità. Ho sempre mantenuto il massimo rispetto per chi indagava, come ce l’ho per chi mi ha giudicato e mi ha assolto, ma vivevo un incubo».
Ora che è libero dalle terribili angosce, una domanda di calcio: che cosa ne pensa del futuro di questo Napoli?
«Il Napoli ci ha dato grandi soddisfazioni. Migliorare una squadra già bellissima non è semplice. Ma qualcosa va fatta».
C’è la questione del portiere.
«Se Reina deve essere sostituito bisogna trovare un portiere di grandissimo spessore, perché fare il portiere a Napoli non è da tutti».

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