Sale in bici sullo Zoncolan, ha abbracciato Paul Cayard alla Barcolana di Trieste. E’ un uomo di sport, vive di campo e di adrenalina, senza fermarsi un istante. Bici e vela appena il pallone smette di rotolare. A Formello lo chiamavano Generale, era dietro la collina, come cantava De Gregori, quando la Lazio aveva bisogno di aiuto e doveva risollevarsi, lui arrivava. Due anni fa Lotito lo richiamò e Reja, per tutti zio Edy, in tandem con Bollini risalì sino a sfiorare l’ingresso in Europa League. Ora guida l’Atalanta e si è portato dietro l’ex allenatore della Primavera biancoceleste. Amico di Capello, friulano di Lucinico, attaccato alla sua terra. Gigi Febbrari, il suo preparatore atletico, lo porta ogni estate sul Carso a studiare le trincee della Grande Guerra. Non è mai rimasto fermo, si aggiorna, sta sul pezzo, pur essendo l’allenatore più anziano della serie A e la sua squadra gioca un calcio sbarazzino. L’Atalanta lo ha tradito solo domenica allo Juventus Stadium e adesso si prepara alla sfida con la sua vecchia Lazio, lasciata a Pioli, in corsa per le prime posizioni. Come il Napoli di De Laurentiis. Cinque anni per risalire dalla serie C all’Uefa. Edy è un costruttore di squadre. Ieri ci ha raccontato il suo calcio.
A 70 anni in panchina con l’entusiasmo di un ragazzino. Come fa? E Bergamo è l’ambiente ideale per riuscirci?
«Penso, per quello che ho vissuto, sia ideale per me. Una società che ha nel suo Dna questa carica. C’è una partecipazione totale della tifoseria, si sente molto questo aspetto. E’ proprio una fede. Un ambiente giusto per la mia dimensione. Qui ho ritrovato carica, entusiasmo».
Percassi dice: “Reja dà tranquillità ai giocatori”. Quanta ne ha data Percassi a Reja? E quanto conta divertirsi sapendo che non deve più fare carriera?
«Mi diverto solo quando gioco bene e vinco, quando si perde come con la Juve no. Le preoccupazioni e le responsabilità ci sono sempre. Il divertimento arriva con i risultati. Percassi, non per fare sviolinate, ha giocato a calcio. Diventa più facile il colloquio dal punto di vista tecnico, della filosofia, della conduzione societaria. Qui ci sono ruoli, compiti, funzioni, doveri. Ognuno sta al suo posto, non ci sono invasioni. C’è un presidente, un diesse, un allenatore, uno staff. Io sono il responsabile tecnico. Nessuno va a intaccare la sfera di competenza degli altri».
Alla Lazio e al Napoli si verificavano invasioni di campo?
«Sono due ambienti diversi, c’è più tensione dal punto di vista mediatico. Le piccole frizioni sono esaltate, qui a Bergamo non succede».
Dica la verità, allo Juventus Stadium non era la solita Atalanta. Già pensava alla Lazio?
«Non è così. Non ha funzionato l’approccio, quando la squadra va così sono tutti responsabili, in primis il mister. L’Atalanta quest’anno non era mai stata così attendista. Forse abbiamo avuto un po’ di soggezione e trovato una Juve veramente carica. E’ un po’ distante dalla vetta, ma possiede organico e esperienza, può rientrare. La squadra si è rinnovata, ci vogliono rodaggio e carburazione, anche Allegri deve conoscere tutti. Bisogna dargli tempo, può fare in tempo a competere in Champions e per lo scudetto, anche perché davanti non c’è una squadra che si stacchi dalle altre. Sono in tre o quattro».
Pioli ha detto: “Reja è un tecnico preparato e ci conosce bene”. Cosa dice Reja di Pioli?
«Anche lui non è meno preparato di Reja. Ha dato un’impronta decisiva, una filosofia giusta per la Lazio. Sta facendo risultati importanti. L’anno scorso è stato protagonista di un grandissimo campionato, si sta ripetendo, anche in Europa va bene nonostante i cambi e gli infortuni. In estate ha avuto un momento di difficoltà, con pazienza ha atteso che la squadra crescesse. Ora la Lazio è in forma e, sono sincero, speravo non arrivasse così a Bergamo. E’ in serie positiva, ha il consenso da parte della tifoseria. Mi è piaciuto cosa ha detto Pioli dei tifosi. «Insieme siamo più forti, senza siamo più deboli». Giusto. Cosa avrei dovuto dire io quando venivano in tre o quattro mila all’Olimpico? Se mi davano una mano, forse sarei arrivato in Europa League. Ma lasciamo perdere, inutile tornare indietro».
Lazio da Champions e Napoli da scudetto, aveva detto. Conferma?
«Tutto può succedere in questo campionato. Ora sta tornando la Juve. Ci sono Roma, Inter, Napoli, Lazio. La Fiorentina ha qualità. E’ aperto a tutti. Tutti lotteranno per lo scudetto. Vincerà chi avrà più qualità e mentalità per arrivarci. Napoli e Roma mi sembrano leggermente avanti alla Lazio, ma la Lazio va rispettata».
Sarri, 57 anni, è il tecnico che apprezza di più?
«E’ arrivato tardi, dalla gavetta. Un po’ come me. L’anno scorso guardavo sempre l’Empoli. Mi piaceva vederlo, come il Napoli adesso. Squadra cortissima. Lavorano molto bene sulla linea difensiva, sono perfetti. Non hanno cambiato niente, a parte Hysaj sono gli stessi. Sul piano difensivo chiudono gli spazi. Ha arretrato Hamsik, non era un trequartista, lo sapevo e l’avevo detto anche a Benitez. In quel ruolo dimostra di essere un grande giocatore».
Fondamentale il passaggio al 4-3-3?
«Quando si metteva 4-3-1-2 con Callejon e Insigne qualcosa non quadrava. Sarri ha rivisto le sue teorie e la squadra ha cominciato ad andare. Hamsik dietro una punta non ci può stare. Sarri l’ha capito e ora rende al massimo».
Cosa manca a Napoli per lo scudetto? E’ una piazza matura?
«La piazza è questa, non puoi tarpare le ali a chi sogna. E’ la filosofia del napoletano, ha sempre entusiasmo. Sarri mi sembra entrato in sintonia con la città. Viene dalla gavetta, è esperto. Porterà il Napoli sino alla fine. Bisognerà vedere cosa faranno Lazio, Juve, Inter e Roma. E davanti può contare su un Higuain straordinario, il finalizzatore di tutto il gioco. Se tiene sino alla fine…».
Che partita si aspetta con la Lazio?
«Molto intensa, come sempre. Le due squadre lavorano così. Grande velocità, penso a gente come Candreva, Felipe. Hanno recuperato Biglia, con lui c’è un equilibrio diverso. Mi aspetto una bella partita, vibrante. Dovrò stare attento alle ripartenze, alle qualità della Lazio».
Perché con le sue ex squadre riesce sempre a tirare fuori dei partitoni?
«Non lo so. Forse perché conosco le caratteristiche delle squadre e dei giocatori. So quali sono i difetti individuali, le preparo in modo diverso, ma non è che mi impegni di più».
Pinilla è il signore delle rovesciate. Gomez segna su angolo. Il gesto tecnico conta più della tattica?
«Quando hai qualche giocatore così, diventa più semplice rompere l’equilibrio. Penso a Torino, l’ha sbloccata Dybala con un tiro imprendibile di collo, Sportiello era pronto, non gli si possono dare colpe, quel pallone ha cambiato traiettoria. Anche Klose ha inventato, lo vedi fermo tanto tempo, poi risolve. Uno qualsiasi al suo posto l’avrebbe tirata in porta invece di appoggiare l’assist di testa a Lulic».
Preferisce attaccare o vincere 1-0?
«E’ meglio sempre vincere… Poi dipende chi alleni. Segnare un gol più degli avversari sarebbe la filosofia di tutti, ma devi stare attento quando hai squadre come la mia. Un po’ di cautele, se affronto la Lazio, le devo prendere».
Il suo amico Capello è stato l’allenatore italiano più forte di tutti i tempi?
«Per quanto riguarda i risultati, di sicuro è stato il più vincente. Ha vinto dappertutto, a parte la Russia, dove ha trovato un ambiente particolare».
Cinquant’anni di calcio, qual è il suo rimpianto principale?
«Non ho rimpianti, posso ritenermi soddisfatto, a 70 anni alleno ancora in serie A. M’è rimasto un rammarico come calciatore. Mi avevano richiesto il Milan e il Cagliari, che poi avrebbe vinto lo scudetto. Mazza, il presidente della Spal, mi diede per una somma superiore di 10 milioni al Palermo. Il Milan mi chiese nuovamente dopo un anno in Sicilia. L’allenatore Di Bella disse: “Reja è incedibile”. Mi sarebbe piaciuto provarci per vedere se potevo stare a certi livelli».
E’ vero che Riva la voleva al Cagliari?
«Con Riva ci conoscevamo, sembrava che la trattativa fosse arrivata alla fine. Il Cagliari aveva offerto 120 milioni e Moro in cambio, subentrò il Palermo e mise sul tavolo 130 milioni. Una volta non si poteva rifiutare… Nel ‘68 era un calcio diverso. Ho passato cinque anni bellissimi a Palermo, sono stato fortunato, anche se nel pieno dell’attività qualche guaio fisico mi ha condizionato».
Ci racconta quella volta che giocò a calcio con Pasolini?
«Ci trovavamo a Grado, lui era di Casarsa, delle nostre zone. Sormani, Riva, Rivera: Grado, famosa per le sabbiature, in estate era piena di giocatori. Giocavamo per divertimento e per tenerci in forma. Pasolini era un’ala destra, con discreta tecnica, buona velocità».
Lotito e De Laurentiis spesso le hanno chiesto dei consigli. Perché non è mai diventato direttore tecnico?
«Perché mi piace stare sul campo, è la mia vita, quello che mi gratifica. Ho passione, entusiasmo, preferisco stare con i ragazzi, mi piace pensare la partita, rivedo i movimenti. Il campo fa parte della mia vita. Costruttore di squadre? Non lo so. L’esperienza mi ha portato a conoscere gli equilibri tattici, posso dare indirizzi a chi mi ascolta».
Grassi o Monachello: chi sarà il prossimo talento dell’Atalanta ad arrivare in nazionale?
«Sono giovani, hanno mezzi e qualità. Metterei anche Conti, l’altro under 21 azzurro dell’Atalanta. Possono andarci tutti e tre, bisognerà aspettare la maturità. Conti ha meno esperienza, ma arriverà anche il suo momento».
Fonte: Corriere dello Sport
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