Firenze. Cesare Prandelli già scalpita. Con la qualificazione ai Mondiali praticamente in tasca, il ct azzurro sta riflettendo sulla squadra che dovrà portare alla Confederation Cup, in Brasile «perché tutti dicono che non è importante, ma se poi perdiamo…». E intanto scruta il campionato, il duello tra il Napoli e il Milan per la Champions e la Juve che osserva tutti «meritatamente» da lassù. Prandelli parla a lungo e di tutto. E si ferma solo una volta, quando il telefono squilla e dall’altra parte c’è Nicolò, il figlio, che lo aggiorna su Manuela, la nipotina di nonno Cesare.
Prandelli, la sua Nazionale dopo aver perso qualche colpo si sta finalmente comportando bene?
«Noi abbiamo il progetto di una Italia giovane e di personalità. Non ho mai parlato di un gioco spettacolare, non ne ho mai avvertito la necessità: è giusto che ogni volta che si va in campo lo si faccia mostrando i muscoli, giocando con coraggio, senza difendersi in maniera massiccia cercando l’errore dell’avversario. È questo quello che dico ai miei ragazzi».
Le dà fastidio che questa venga etichettata come l’Italia di Balotelli?
«Dovrebbe? All’inizio era l’Italia dei nanetti, adesso è quella di Mario. Spero che continui a essere un’Italia vincente, per prima cosa».
Sapere che Balotelli è, secondo il Time, tra i 100 personaggi più influenti del mondo la stupisce?
«Andare in giro con Mario regala incredibili sensazioni. Bisognerebbe vedere l’effetto che fa l’incontro di un ragazzino di 12 o 13 anni con lui: sgrana gli occhi, resta quasi in adorazione. Balotelli non si sottrae mai ai suoi compiti e alle sue responsabilità. È importantissimo per me e per la Nazionale che sia ritornato in Italia».
In attacco adesso ha tante soluzioni, non è più costretto a navigare a vista?
«Ricordo la prima partita a cui ho assistito da ct: era un Roma-Inter di Supercoppa. Di italiani in campo ce n’erano due. Ora, per fortuna, le scelte dei club italiani, sia pure dettate da esigenze economiche, mi aiutano ad avere una rosa di soluzioni tra cui scegliere».
Passiamo al campionato, la Juve è già campione d’Italia?
«Mi sembra complicato poter infastidire il cammino dei bianconeri verso il secondo titolo consecutivo, ampiamente meritato per la continuità di rendimento e anche per la qualità delle prestazioni».
Cosa è mancato al Napoli?
«Il Napoli è protagonista di una stagione strepitosa: forse è mancata una rosa più ampia e più completa. Ma questo visto dall’esterno, sia chiaro».
Sembra essere tornati indietro nel tempo, con il blocco-Juve in Nazionale?
«La Juve ha fatto delle scelte tecniche importanti, puntando su giovani bravi e italiani. Che poi è una cosa che aiuta, perché è più semplice per un ct amalgamare un gruppo che già si conosce, magari con un altro blocco, come è quello del Milan».
Poi, però, in Europa, è tutt’altra storia?
«Siamo indietro rispetto agli altri campionato, mica bisogna attendere le sfide con Bayern o Barcellona per capirlo. Però, prima di dare per eliminata la Juve in Champions ci andrei piano».
Per la Champions c’è l’esaltante duello Napoli-Milan?
«Sarà lo scontro diretto a dire chi delle due andrà il prossimo anno in Champions».
La sorprende il Napoli così in alto in classifica?
«Certo che no. Oramai il Napoli fa parte delle big del calcio italiano, ha aperto un ciclo di successi: il modello De Laurentiis è competitivo e i risultati gestionali lo dimostrano».
Quali i meriti di Mazzarri?
«Ha sempre creduto nel 3-5-2, lo ha perfezionato, modellato e adattato su misura ai calciatori».
Se Cavani volesse andar via, lo lascerebbe partire?
«Mai. Lui è l’emblema degli attaccanti di ultima generazione: ha senso del gol, non dà punti di riferimento ai difensori, è generoso e corretto. Il sogno di ogni tecnico. Come Hamsik: corre, fa assist e conclude pure l’azione. In pochi in Europa fanno questo genere di lavoro».
Perché non ha mai convocato, neppure una volta, Paolo Cannavaro?
«Sia ben chiaro: non perché non lo meritasse. Anzi, in certi momenti è stato strepitoso. Io lo conosco dai tempi di Parma, ma quando si chiama un giocatore non lo si fa per premiare il suo rendimento, ma facendo delle valutazioni legate al futuro. La prima domanda che mi faccio è: quanto tempo può restare con noi? Per questo ha avuto un senso, in questa ottica, convocare Ranocchia, Bonucci, Ogbonna».
Però si parla di un ritorno di Totti.
«L’unico che ha detto una cosa giusta è stato Mazzone: se fra dodici mesi, Totti avrà la stessa condizione, lo stesso entusiasmo e le stesse motivazioni come si fa a tenerlo fuori?».
Come ha preso la rinuncia di De Sanctis alla Nazionale?
«Posso dire che è stato il momento più commovente e toccante di questi miei tre anni da ct. Morgan ha usato della parole meravigliose, ha commosso tutti. Gli ho però strappato una mezza promessa: la porta della Nazionale per lui resta ancora socchiusa. Sa che potrei aver bisogno ancora di lui».
Si aspettava che Insigne giocasse di più con Mazzarri?
«Mi sembra che la sua crescita sia costante. In questo momento, nel gioco dei dualismi che tanto piace alla gente, lui è un po’ l’alternativa a El Shaarawy. Sono giovani e pieni di talento e spero che con il tempo imparino ad adattarsi ad altri ruoli».
Nel valzer delle panchine, per la prossima stagione, il suo nome è sempre presente.
«Ho un contratto con la Federazione sino al 2014 e intendo rispettarlo».
E se la chiama De Laurentiis?
«Non cambia nulla. A Napoli potevo venire a 18 anni, mi voleva Janich: ma dovevo fare l’esame per il diploma. E mia madre me lo vietò: allora si usava così».
Quando andrà a Quarto a far visita alla squadra antiracket?
«Spero entro la fine del campionato. Aspetto l’ok della Federazione».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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