Il privilegio di chi ha sempre avuto una prospettiva ampia. Questione di posizione. In campo e fuori. Ottavio Bianchi l’osservatore speciale. Da giocatore stava lì in mezzo. Con l’8, quando un numero su una maglia qualcosa significava. Da là vedeva il gioco. E così era anche in panchina da allenatore e in fondo, per un po’, da dirigente, seduto dietro una scrivania, con lo sguardo anche lì totale sulle dinamiche e gli equilibri di quello che resta il suo mondo. Pure se adesso si diletta col golf, la pallina è decisamente più piccola e il green più che un enorme campo da pallone gli sembra una distesa di quiete. Quarant’anni e più di calcio fatto e visto da dentro. Con poche parole, come da carattere. Ottavio Bianchi è un baule di aneddoti e rivelazioni. Da aprire con garbo però. Perché i silenzi sono tipici dell’uomo e il piacere del racconto va coltivato. Potrebbe, Ottavio Bianchi, e forse vorrebbe pure, star lì a ricordare di Sivori, Rivera o Maradona. Oppure Aldair. “Perché di talenti veri e così ne ho visti pochi”. E allora tutto torna nei discorsi. E sempre. Le storie, gli uomini e le suggestioni. Ma il tempo che passa non ha nostalgie, e attualizza i fatti, li lega alla cronaca, li riporta a questi giorni.
Inter-Napoli è anche un po’ la sua partita. Bianchi il primo allenatore dell’era Moratti. Stagione 1994/95. Accettò le lusinghe. Si rimise la tuta e un po’, di fatto, anche in discussione. Arrivava dal Napoli. Vinse un derby. Ma proprio una sconfitta contro gli azzurri, l’anno successivo, gli costò la panchina. “Non ero mai stato esonerato…“.
Bianchi, tempi duri per Mazzarri.
«Sto con lui. Merita di lavorare sereno. Ha tante attenuanti. Una società nuova, pressioni forti, rumors che danno fastidio e turbative di ogni tipo. Neanche un mese fa era il terzo incomodo per lo scudetto, ora è in discussione».
E tifosi mormorano.
«Sono severi e critici come tutti. Pure a Napoli hanno fischiato dopo qualche risultato negativo».
Poi la reazione…
«Ma serve continuità. Il mio primo bilancio stagionale è negativo. Col Bilbao sono rimasto perplesso. Il Napoli era più forte».
C’è ancora spazio per i sogni in campionato?
«I numeri dicono sì, e del resto l’obiettivo dichiarato era lo scudetto. Ma la percezione è diversa: il Napoli si è già giocato ogni jolly e là davanti vanno troppo forte».
Più Juventus o Roma?
«A Torino non smettono mai di avere fame. Ma se i giallorossi non si piangono addosso sono maturi per vincere. Lo scontro diretto, con tutti quegli episodi dubbi, non significa niente».
Inter-Napoli, dicevamo… Benitez torna a San Siro.
«Grande allenatore. Per lui parla la storia, quello che ha vinto e fatto. Ma Napoli è diversa. Non è Liverpool, non è Valencia. Io la conosco, lì c’è la mia vita. Devi capirla, sentire l’aria».
Resta lui, Benitez, l’allenatore giusto per il progetto?
«Nel calcio contano solo i risultati. Scegliere l’allenatore giusto è una missione. Devi stare nello spogliatoio, in sede, conoscere le persone».
Higuain ancora a secco in campionato…
«Il Pipita farà i suoi gol. Mi preoccuperei più di non prenderli».
Kovacic e Hamsik due talenti…
«Direi due ottimi giocatori. Lo slovacco ha qualità e testa sempre alta. Ha fatto un po’ fatica. Gli infortuni, la posizione in campo, nuovi equilibri tattici: un momento no ci può stare. Kovacic invece è giovane, si sta formando. Non ha ancora un’identità precisa. Però mi piace».
E l’Italia di Conte?
«L’Italia prego. E’ di tutti. E’ partita bene e vincere non è mai facile. Non è un’epoca felice per il nostro calcio, però Conte può portare mentalità, idee e voglia».
Fonte: Corriere dello Sport
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