Ascoltandolo è ancora più facile decifrarlo in campo. Jeremy Menez gioca a calcio come vive, o forse è meglio dire come ha vissuto: d’istinto. È stato così quando ha voluto provare con il rugby, quando ha detto no al Manchester United (“Ma quella fu anche un decisione pensata”), quando era a Roma e disse sì al Psg e poi era al Psg e disse sì al Milan, quando si fece il primo tatuaggio. L’istinto che se sei giovane “ti fa fare un sacco di errori, ma è giusto così: c’è un’età per sbagliare” e poi quando si cresce ti fa sentire ancora giovane, “basta non dimenticare da dove si viene”. Menez viene dalla Banlieu 94, una delle periferie più difficili di Parigi. È lì che è diventato calciatore “sbucciandomi le ginocchia sul selciato, e per questo ho voluto regalare ai ragazzi che oggi abitano lì un campo da calcio a sette vero”. Ma soprattutto, lì ha cominciato a diventare l’uomo, il marito e il padre che è oggi.
CATTIVA STRADA — Menez, il “quartiere” e Sochaux. “Forse, e sottolineo il forse perché come fai a dirlo, se non avessi avuto il calcio sarei finito in galera. Del resto, ci sono finiti un sacco di miei amici: furti, droga, quelle cose lì, che ci caschi se sei giovane, vorresti tutto ma i soldi sono pochi. Ho continuato a sentirli anche quando erano dentro – i telefonini entrano pure in carcere, certo – e ogni volta era come rendersi conto di quanto sottile sia il filo che divide una vita felice da una vita buttata via, o comunque rovinata. Dal quartiere me ne sono andato a Sochaux al momento giusto, a 13 anni, l’età in cui puoi iniziare a fare le stupidaggini più grosse. E a 16 anni sono rimasto lì e non sono andato al Manchester United, anche se mi voleva Ferguson, perché pensavo non fosse il momento giusto, non ero pronto: non dico che sarebbe stata una cattiva strada, ma sentivo di essere troppo giovane per un salto così. Magari avrei fatto una carriera anche migliore, che ne so: so che non mi sono mai pentito, mai”.
ADOLESCENZA — Menez, la gioventù, gli amici dentro e fuori il mondo del calcio. “Di quei tempi cosa ti ricordi? Quanto giocavi a pallone, quanto ti divertivi e quante scemenze facevi: come quella volta che abbiamo fregato un motorino a un pony express che era salito a consegnare una pizza – però dopo qualche giorno gliel’abbiamo ridato – o la volta che ce ne siamo date un sacco con un gruppo di un altro quartiere, io ne ho prese più di quante ne ho date e qui in fronte ho ancora una bella cicatrice. Però, se ci pensi bene, quel che ti resta di quei tempi sono soprattutto gli amici. A Filo Mexes voglio bene perché abbiamo diviso un sacco di cose, Totti e De Rossi sono un bel ricordo di Roma e li ho nel cuore, ma i miei veri amici non sono nel calcio, a parte Benzema che è un fratello: li sento spesso, li vedo ogni volta che posso, sono rimasti gli stessi che lo erano già quando non ero famoso e nessuno di noi aveva una lira. Però ci divertivamo un sacco, eh”.
Fonte: Gazzetta dello Sport
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