Il general Manager del Napoli Marco Fassone fa il punto sul marketing:
“Nell’ambito dell’ampio dibattito che sta caratterizzando il nostro movimento da qualche tempo, assume particolare rilievo la discussione intorno alle modalità attraverso le quali il calcio italiano potrebbe significativamente aumentare i propri ricavi e ritrovare competitività con i Paesi che meglio hanno agito in questa direzione.
I ricavi caratteristici di una società calcistica professionistica di alto livello dipendono sostanzialmente da tre fonti: la cessione dei diritti audiovisivi, lo stadio, ed il marketing; quest’ultimo inteso come la somma di sponsorizzazioni, merchandising e licensing.
I ricavi derivanti dallo sfruttamento di quest’ultimo territorio vivono da alcuni anni una situazione di staticità, pur avendo alcune società adottato strategie innovative e da seguire in futuro (ridotto numero di partner, alta qualità delle aziende, basso affollamento pubblicitario). Sul fronte delle sponsorizzazioni il nostro mercato presenta limiti molto evidenti, che continuano a tenere lontani dai nostri campi di gioco i marchi di molte prestigiose firme nazionali ed internazionali che avrebbero tutto l’interesse a sposare il calcio italiano. E le ragioni non sono certo da ascrivere solo ad una diminuita qualità complessiva del nostro prodotto, poiché le audience televisive continuano ad essere di assoluto rispetto ed a primeggiare su qualsiasi altro competitor in ambito sportivo. Quanto piuttosto alla nostra difficoltà, come movimento, ad adeguarci culturalmente alle nuove esigenze delle imprese, sempre più alla ricerca di prodotti e servizi customizzati, che oltre a dare visibilità e reputazione al marchio oggetto di sponsorizzazione, sappiano al contempo creare un rapporto diretto ed efficace tra il club e la base dei loro consumatori. Giova ricordare come le imprese abbiano oggi bisogno di trasformare in evento ciò che è ordinario, di ottimizzare budget ridotti rispetto al passato distraendoli da investimenti tabellari di tipo tradizionale, e di sapersi ritagliare uno spazio nella mente del tifoso, associando il proprio Brand al nome del club in modo memorabile. Insomma, sempre meno pacchetti rigidi e sempre più prodotti tailorizzati, meglio se seguiti in prima persona dalle società calcistiche: il progressivo inserimento di giovani manager provenienti dall’industria, ed avvezzi a ragionare in chiave di Consumer marketing, potrebbe aiutare le società a migliorarsi in questo ambito.
Inoltre non va trascurato il ruolo che potrebbe giocare, anche in ambito marketing, una Lega di serie A realmente capace di intercettare le esigenze di quelle aziende nazionali di grandi dimensioni e di rilevante penetrazione popolare, che oggi sono distanti dal mondo del calcio solo per paura di schierarsi con quel player anziché con quell’altro. Con un’offerta di tipo collettivo in taluni casi si potrebbero raggiungere obiettivi che individualmente sono quasi impossibili.
Minori, a mio avviso, i margini di crescita reali nel settore del Licensing e del merchandising, dove persistono, nel nostro Paese, forti resistenze culturali all’utilizzo di prodotti ufficiali del club, rispetto alla mentalità anglosassone. Ciò nonostante una più attenta logica della qualità dei prodotti, oggi spesso bassissima, ed una reale volontà politica di contrastare il fenomeno della contraffazione (le leggi ci sono, basterebbe applicarle!) potrebbero generare un incremento comunque non irrilevante di fatturati oggi marginali”.
La Redazione
P.S.
Fonte: Il Corriere dello Sport
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