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Magic Johnson: “Ecco perché negli Usa la combine è impossibile”

"Abbiamo più cultura sportiva e serenità"

Earvin Johnson, il Magic che tutti conoscono, ha 53 anni e conserva sempre l’espressione schietta e gioviale di quando mandava in visibilio tra gli anni ‘80 e ‘90 migliaia di fans sui parquet americani. È all’American Airlines Arena di Miami per commentare su Espn le finali Nba tra gli Heat e i Thunder e il suo sorriso è contagioso. È un vulcano di buon umore – considerando che ancor oggi è giudicato miglior playmaker della storia Nba – anche con i fans che lo osservano estasiati. Qualche chilo in più l’ha messo ma è distribuito bene sui suoi 2 metri e 6 cm. Diversi scout Nba che l’hanno visto giocare di recente sostengono che per 10’ potrebbe essere ancora utile sul parquet. Il suo palmares è di altissimo profilo: 5 campionati Nba con i Lakers, un successo nella Ncaa con i Michigan Spartans, l’oro nel ’92 a Barcellona con il mitico ”Dream Team” e ben 12 convocazioni nell’All Star Game Nba. Un brutto momento, superato: 20 anni fa con l’Aids dovette ritirarsi ben due volte. Attento alle vicende dello sport Usa ma osservatore acuto anche di quanto succede in Europa e in Italia sul calcioscommesse.

 Giù il cappello Sir Magic Johnson, anzitutto come sta?
«Bene e contento di essere a Miami per le finali Nba. Sono assolutamente imparziale perché nato nel Michigan ma con il cuore a Los Angeles. Le tre gare che ho seguito mi sono sembrate di buon livello e poi che charme la sfida LeBron-Durant. Sembrano due supereroi. Chi vince? Non saprei ma continueremo a vedere sicuramente ottimo basket nelle prossime gare».

Ha seguito quanto accade in Italia sul calcioscommesse? Giocatori e dirigenti indagati e squalificati. Un busines sdegenerato…
«Sicuramente. Ho seguito in tv delle partite dei campionati europei e del campionato italiano. C’è troppa tensione, troppa attenzione su atleti, partite, club e tutto quanto circonda il mondo del calcio. Anche i media danno troppo spazio al calcio e tutto ha un effetto domino perché la sovraesposizione di un prodotto con tanto appeal crea fanatismo, eccessi, disagi e tante trappole. Bisogna avere la giusta considerazione degli eventi».

 Gli Usa pare non siano coinvolti in questo fenomeno.
«Noi giudichiamo lo sport per quello che è. Andiamo a tifare nelle arene del basket o negli stadi del football o del baseball per divertirci. Balliamo, cantiamo, gridiamo ma abbiamo forse più cultura sportiva degli europei forse perché viviamo in una dimensione più serena dove la crisi c’è ma gli americani la incassano meglio. Qui siamo sostenitori del ”take it easy” (prendila facile). Vedo che in Italia i reporter hanno difficoltà a intervistare un calciatore. Assurdo! Sembrano quasi succubi di club o staff della comunicazione. Qui negli Usa i giornalisti fanno interviste negli spogliatoi. Aspettano che i cestisti si vestono e poi si concedono serenamente ai microfoni. Massima apertura con chi lavora. Qui, se sei un giocatore, i media ti possono esaltare ma anche ridimensionare: la critica ha sempre spirito costruttivo. Certo ci sono le eccezioni».

Che cosa ha seguito quest’anno dello sport italiano?
«Nel calcio so che è tornata la Juventus dopo gli anni bui. Qui negli States ci sono tanti tifosi bianconeri. Nel basket vedo che Siena non molla e ha vinto ancora il campionato. Sei scudetti di fila sono tanti. Nello sport come nella vita se imbrocchi il ciclo giusto puoi andare veramente forte. Devi avere talento e tanta fortuna».

 Della Napoli città e di quella sportiva che cosa sa?
«Ogni tanto vedo su Espn qualche clip del Napoli di Maradona. Le guardo con un po’ di amarcord perché mi ricordano i tempi di quando giocavo a Los Angeles. Ricordo che quando 25 anni fa incrociavo a Santa Monica o a Rodeo Drive degli italiani mi dicevano sei il ”Maradona” del basket. Chissà se a Diego gli avranno mai detto: sei il ”Magic” del soccer. Beh spero di sì. Quando verrò a Capri m’informerò. See you soon and keep in touch!».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

P.S.

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