Il cardinale Crescenzio Sepe non nasconde una vivace fede calcistica, e racconta con soddisfazione la sua serata a Donnaregina, passata in fibrillazione davanti alla tv. Da solo, come sempre. Vedere la partita senza compagnia è quasi un rito al quale vale la pena non rinunciare, soprattutto poi quando si tratta di sfide importanti come quella contro la Juventus. Il tifo è tifo, e anche il vescovo è chiamato a rispettare qualche piccola regola scaramantica. Come a dire: non è vero e non ci credo, sia chiaro, ma se non viene nessuno a trovarmi è meglio. D’altronde, è sempre lui che ogni estate, nel mese di luglio, va a far visita per un giorno alla squadra in ritiro a Dimaro. Lì, a bordocampo, come impone la tradizione azzurra, celebra una messa per i giocatori, l’allenatore Maurizio Sarri e tutto lo staff di tecnici e dirigenti. Un appuntamento irrinunciabile per Crescenzio Sepe, e anche per la squadra che aspetta con ansia la sua benedizione prima di tornare in campo.
I ragazzi le hanno dato soddisfazione?
«E certo, bravissimi. Il primo tempo mi è piaciuto; anche se, a dire la verità, mi aspettavo un po’ di coraggio in più. Non sarebbe guastato».
Non hanno osato quanto avrebbe voluto?
«Non tenevamo niente da perdere. Se ci avessero sconfitti, finiva lì; il pareggio non avrebbe cambiato le cose; e allora, tra me e me, pensavo: Coraggio, avanti, osate…. Ma è andata benissimo così».
Il secondo tempo le è piaciuto di più?
«È sempre così. Dopo i primi 45 minuti di gioco, i ragazzi sono più carichi; e il maestro Sarri è stato bravissimo, anche nei cambi. Veramente grandi. Alla fine hanno giocato con una forza, una intensità straordinarie».
Quanto ha urlato al gol?
«Ero da solo, come al solito. Sono saltato dalla sedia, una gioia incontrollabile, gridavo Bravo, bravo!. Veramente mi sono emozionato. E che corsa per arrivare in tempo a vedere la partita».
Pronto per il prossimo appuntamento?
«Altroché. I ragazzi hanno giocato bene e il risultato se lo sono meritato, ma l’opera purtroppo non è ancora compiuta: restano ancora quattro partite e sono fondamentali».
Ci vuole una preghiera particolare.
«Non c’è bisogno».
È sicuro?
«Ne sono certo. L’ho detto anche la scorsa estate, quando sono andato a celebrare la messa su, in Trentino Alto Adige: San Gennaro è un giocatore».
Sta dicendo che sarà il patrono a proteggere la squadra della propria città?
«San Gennaro è il dodicesimo giocatore. Non si vede, non si tocca, non si sente, ma è presente. Secondo voi, dietro le grandi giocate di Mertens, Milik e Insigne, che cosa c’è?».
La loro abilità?
«Certamente. Abilità, preparazione e professionalità. Ma se la mano in capa non gliela mette San Gennaro, diciamoci la verità, ma comme ‘e fanne quelle cose?».
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