Ora che ha 73 anni le nuove generazioni lo conoscono solo come voce inconfondibile di Sky. Ma fino a metà anni ’70 Josè Altafini era sinonimo di gol, spettacolo e meraviglie. Il vecchio «Conileone», come l’aveva ribattezzato Gipo Viani al Milan, venne al Napoli nel 1965 e se ne andò sette campionati, 97 gol e 180 partite dopo. Alla Juventus.
Poteva vincerlo lei il primo scudetto con il Napoli?
«Ce lo saremmo meritati, ma ogni stagione qualcosa andava storto. Che peccato. Tutte le domeniche c’erano ottantamila persone al San Paolo. Anni meravigliosi e a Napoli avevo ritrovato il mio Brasile. Tanta allegria e un allenatore bravissimo, Pesaola».
Agli azzurri segnò il gol-scudetto del ’75, i tifosi parlarono di «core ‘ngrato».
«E Zoff allora? Non fece una incredibile parata su Juliano? E Damiani che quel pomeriggio non si fermava neanche un secondo? Sono stato sempre vittima di ingiustizie nella mia vita. Però quel gol è l’unico che non mi regala sorrisi».
Perché, quali altre ingiustizie ha subito nella sua carriera?
«Quel soprannome, coniglio: lo detesto, perché non c’è nulla di più fasullo. Mai giocato con i parastinchi in vita mia, mai tirato indietro la gamba. Me lo diede Gipo Viani. Quando perdevamo entrava negli spogliatoi e mi indicava: “ecco, abbiamo perso per colpa di quello lì”, diceva».
In realtà un leone che in Italia ha ruggito 216 volte in 459 partite?
«Esatto. E non dimentichi che alla Juve ho vinto uno scudetto a 35 ed uno a 37 anni».
E quest’anno chi lo vince il campionato?
«Chi sarà più regolare. Potrebbe essere l’anno giusto per il Napoli, bella squadra davvero anche se l’ho vista poche volte. Mi impressiona il fatto che ha fatto tre gol al Milan e tre all’Inter. Voglio aspettare i primi scontri diretti della Juve prima di sbilanciarmi».
E l’outsider?
«L’Udinese. Sembra che stia sempre lì per un caso, invece non è così. Guidolin è bravo, bravissimo e poi c’è Di Natale che non conosce limiti. È un fenomeno, difficile da marcare».
È ancora Totò il favorito per la classifica dei cannonieri?
«Sì, ha un fiuto eccezionale. Un’abilità sotto-porta che hanno in pochi. Ma anche Cavani può farcela. Tra i nuovi penso a Osvaldo, a Cerci della Fiorentina che in certi momenti incanta. E pure un altro argentino mi incuriosisce, Alvarez dell’Inter».
La coppia d’attacco migliore?
«Ibra e Pato si completano meglio degli altri».
Dove si piazza il Napoli quest’anno?
«In alto, molto in alto. Tra le prime, forse ancora davanti alla Juve. Ma a patto che Mazzarri non ripeta certi errori come nella gara con il Chievo. Troppi cambi in una sola partita, impari da Guardiola come si fa…».
Proprio lei che è l’immagine del turnover non difende Mazzarri?
«Intanto, alla Juve giocavo tutto il secondo tempo, o almeno 25-30 minuti. Sostituivo Anastasi, Bettega o Damiani. E segnavo. Questa cosa mi fa incavolare».
Cosa dovrebbe fare il tecnico azzurro?
«Pochi cambi ogni volta. Quando hai 25 anni ma che stanchezza vuoi sentire?».
Però quasi tutti hanno difeso Mazzarri?
«Ai miei tempi in panchina c’erano un portiere, un difensore, un attaccante. Basta. Dovevamo fare una stagione».
La Champions: chi la vince?
«Per contratto ho chiesto a Sky di poter commentare solo le partite del calcio spagnolo. Vedere il Barcellona, ma anche il Real Madrid, giocare, ti fa passare la voglia di vedere la serie A. Facile per me indicare i blaugrana come i favoriti».
E il Napoli?
«Passa il turno, meglio gli azzurri del City di Mancini».
Chiuda gli occhi e pensi di stare sul lungomare di via Caracciolo?
«Che bel posto, non ci torno da anni. E un po’ mi manca. Anche perché mi lega a un’immagine».
Qualche donna?
«No, no. Un tifoso. Intervistato da Alfredo Pigna della Domenica Sportiva diede di me una definizione che io non ho mai più scordato. Disse “Josè è uno che quando gioca bene non lo marca nessuno, quando gioca male si marca da solo…”. E aveva perfettamente ragione».
La Redazione
A.S.
Fonte: Il Mattino
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