La vita in una partita. La sua vita di calciatore, quella di Bruno Giordano che a Torino, il 9 novembre del 1986 segnò uno dei gol più belli della sua carriera. «Mancavano ancora 21 giornate di campionato, ma quel giorno capimmo che eravamo più forti di tutti». Quel Napoli del primo scudetto ha attinto a piene mani al tesoro di classe e di bizzarria di questo signore oggi oltre i 56 anni, tirato come un giovanotto, padre di tre figli, allenatore per scelta e per tigna, ex monello trasteverino trapiantato addirittura ai Parioli e in procinto di trasferirsi a New York, sulla panchina del mitico Cosmos.
Che effetto le farà, Giordano, vedere il Napoli sfidare la Juve per il titolo?
«A me questa partita ricorda molto quella che giocammo 26 anni fa. Sì, non è decisiva perché i campionati non si vincono né si perdono a ottobre ma la Juve si crede imbattibile come credeva di esserlo allora e quindi vincere in casa dei bianconeri sarebbe un segnale davvero importante».
Il segnale di una squadra non solo bella ma anche vincente?
«Quello che riuscimmo a dimostrare noi. Fino ad allora giocavamo bene, eravamo simpatici a tutti poi però alla fine facevano festa gli altri. Quel giorno fummo spettacolari e concreti. Persino spietati. E non sbagliammo nulla».
Una delle domeniche più felici della sua carriera?
«Per fortuna ne ho avute tante di gioie però senza dubbio quel giorno fu incredibile, il Napoli non vinceva sul campo della Juve dalla fine degli anni ’50. Persino l’avvocato Agnelli ci fece i complimenti e si augurò, dopo averci visto giocare così bene, che fossimo noi a vincere lo scudetto».
Che gara fu quella?
«Pochi giorni prima la Juve era stata eliminata ai rigori in Coppa dei campioni dal Real Madrid. Una delusione atroce. Contro di noi gli juventini si attendevano il riscatto immediato: loro vanno in gol con Laudrup, noi in cinque minuti prima pareggiamo con Ferrario e poi con me andiamo in vantaggio. Fu l’inizio della nostra fuga».
Nel Napoli di Maradona lei è stato una colonna. Chi il simbolo di questa squadra?
«Beh, non ho dubbi: è il Napoli di Cavani. Quando hai la fortuna di avere un giocatore che segna come lui, si parte quasi sempre in vantaggio di 1 a 0. La Juve ha più soluzioni in attacco, ma nessuna tattica vale la classe e il talento del Matador».
Mazzarri e Bianchi si somigliano?
«Mi piace quando Walter dice che ogni gara vale tre punti perché è così: anche noi avevamo il brutto vizio di far grandi cose con le big e poi pareggiare contro le piccole».
Che peso avrà la diaspora dei nazionali?
«Dipende dai giocatori. Cavani ha dimostrato di essere un portento anche in questo, nel recuperare dalle fatiche dei viaggi: un po’ come Maradona. Rientrava il sabato notte e la domenica era il migliore in campo».
Lo scudetto è una questione a due tra Napoli e Juve?
«Penso proprio di sì. Ma la sfida di Torino è più importante per la Juve: il Napoli può anche pareggiare, non succede nulla. E se gli azzurri escono imbattuti, diventano una vera candidata per lo scudetto».
È vero che va in America?
«Ci sto pensando. Mi ha chiamato la dirigenza dei Cosmos, mi affascina l’idea di andar ad allenare la squadra di una ex bandiera della Lazio come Long John Chinaglia».
Non è meglio restare qui in Italia?
«Non so perché, ma in pochi mi cercano. Forse è colpa mia: ho pensato che fosse giusto fare tanta gavetta e invece mi sbagliavo».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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