Walter Gargano ha rilasciato un’intervista al Corriere del Mezzogiorno. Amato o odiato. Applaudito o fischiato, di lui si parla sempre e comunque. Walter Gargano è il polmone d’acciaio del centrocampo del Napoli, la pulce fastidiosa. La mente e la forza del suo spogliatoio. Chi l’avrebbe mai detto che quel piccoletto dalla corsa folle e la testa dura fosse un concentrato di così tanta devozione? Capace addirittura di pronosticare e azzecare pronostici mondiali per la sua Nazionale uruguaiana? Lo confermano oggi i suoi compagni, lo ammette anche il suo allenatore. Che pure quando sbaglia (e a volte succede) ha sempre un motivo validissimo per continuare a stimarlo. Possibile? Sì, chè Gargano non si ferma, nè si arrende. Mai. Piaccia o no, anche lui è indispensabile. La partita più bella, mercoledì a Cagliari. La notizia più brutta, la squalifica per somma di ammonizioni (salterà la Lazio). Non ne fa un dramma. Il calcio è la sua vita, ma vivaddio, ci sono anche altre priorità. «Scusa, ma sto cucinando. Ci sentiamo tra un po’». L’esordio mette assai curiosità, perché poi non parla spesso con i giornalisti. E quando lo fa non è mai banale, men che meno prevedibile.
Gargano ai fornelli. L’altra passione?
«No, no. Lo faccio di tanto in tanto. Quando sono particolarmente ispirato. Poi a casa ci sono mio padre Walter e mio fratello Tadeo. Asado per tutti».
Ma non è una specialità argentina?
(ride) «Basta con questa Argentina, anche l’Uruguay ha una sua tradizione di carni. E anche molto buone. Posso insegnare, io».
Caspita. Lezioni anche di calcio?
«Macché, devo farne di strada. Ma da quando sono arrivato a Napoli credo di essere maturato, cresciuto. Insomma, sbaglio molto molto meno».
Beh, prof di calcio no. Ma in mezzo al campo la sua voce si fa sentire. Cosa fa durante le gare, il vice di Mazzarri?
«Non ci penso proprio, ma sono un lottatore. Vorrei che la mia squadra fosse concentrata fino all’ultimo secondo dell’ultimo minuto. A volte urlo per tenere alta l’attenzione, sia in difesa che con i miei amici attaccanti. Così… se qualcuno si distrae, penso io a svegliarlo».
I tifosi, la settimana scorsa al San Paolo, hanno fischiato quando lei è uscito dal campo. Si è arrabbiato?
«Intimamente sì, ero proprio incazzato. Ma sono fatto così, e so che devo stare un po’ più calmo. Poi dopo li ho capiti, non avevo giocato bene. Ma anche loro devono capire che non siamo macchine. Può capitare di fare errori, anche perché giochiamo tanto. L’importante è sudare la maglia per la squadra. Io lo faccio sempre. E poi (ride ancora) perché se sbagliano Pocho, Edi o Marek nessuno li fischia?».
Ma quello è il tridente delle meraviglie.
«Certo, è vero. Ma senza il lavoro di tutti noi, probabilmente quel tridente funzionerebbe molto meno. Lavoriamo per un Napoli che sia il gruppo e non i singoli. La forza è proprio questa».
Più corsa o più tecnica?
«Che domande? La corsa».
Ma le punizioni le vuole battere sempre lei.
«Scherziamo in allenamento, prendo in giro Pocho. Poi in campo non dico mai: vado io. È giusto che vada al tiro chi se la sente».
Ha vinto lo scudetto col Danubio, pensa di poterlo vincere anche col Napoli?
«Sicuramente mi piacerebbe. C’era anche Cavani quando vincemmo col Danubio e anche suo fratello. Con Edi potremmo ripeterci qui».
Oracolo Gargano: prima dei Mondiali, pronosticò l’Uruguay tra le prime quattro squadre. Azzeccò e nello spogliatoio fu festa per lei. La palla di vetro le ha suggerito anche cosa farà il Napoli quest’anno?
«Di sicuro miglioriamo l’obiettivo dell’anno scorso».
Che era sesto posto. Quindi?
«Beh, vedo il Napoli terzo o quarto. Bisogna mettercela tutta».
Reja, Donadoni e Mazzarri. Un aggettivo per i tre tecnici che ha conosciuto a Napoli.
«Reja: positivo. Donadoni: sfortunato. Mazzarri: grintoso. Tutti e tre grandi persone».
Un pregio e un difetto di Mazzarri.
«È un grandissimo motivatore. I difetti sono due: fuma troppo ed è spesso scontento».
Scontento?
«Sì, lui ci vorrebbe perfetti, lavora per questo. E dà tutto se stesso. Ma anche a lui dico: mister, ma non siamo macchine».
Sudamericani e napoletani: amici o nemici?
«Amici. Lo ripeto, siamo un gruppo molto unito. Magari noi sudamericani abbiamo abitudini particolari e può sembrare che qualche volta facciamo gruppo. Ma invitiamo sempre tutti».
Secondo lei, perché Quagliarella è andato via?
«Mah. Quando l’ho saputo mi è dispiaciuto. Lui è un grande calciatore. E anche adesso ci avrebbe fatto comodo. Peccato».
Nessuna frizione nello spogliatoio? Lui fa trapelare qualcosa del genere.
«Non lo so cosa dice. Lui pensava che noi parlassimo male di lui. Non è vero, posso garantirlo. Credo piuttosto che da napoletano sia arrivato a Napoli credendo di poter essere subito il primo e non uno uguale agli altri. Forse si è sentito tradito anche un po’ dalla gente perché non era il numero uno. Comunque, davvero mi dispiace. Lui è forte».
Il suo asado si sta raffreddando?
«Un po’ sì. C’è mia moglie Miska che prova a tenerlo in caldo».
Sua moglie?
«Sì, lo sarà il 23 dicembre. Ci sposiamo in Uruguay, nostro figlio Matias sarà felice».
Quadretto di famiglia ideale.
«Meraviglioso. La mia vita con loro due è cambiata. Miska è bellissima, la amo ogni giorno di più. Ho una famiglia speciale».
Un cognato speciale, Hamsik. Ma Uruguay e Slovacchia cosa hanno in comune?
«Niente e quindi tutto. Un confronto ogni giorno più interessante».
LA REDAZIONE
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
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